La diocesi di Torino torna ad esporre la Sindone, i fedeli tornano a confluire da ogni parte del mondo (portando centinaia di milioni alle casse della città), e i telegiornali tornano a ripeterci che quello impresso sul lenzuolo è "il volto di Gesù". Che poi la scienza dica un'altra cosa, in questo caso, conta poco.



IL PROBLEMA DEL RADIOCARBONIO Come dicevamo, quello della datazione al radiocarbonio rimane l’ostacolo principale per chi voglia continuare a sostenere l’autenticità della Sindone, e su questo fronte, dopo la delusione dei test scientifici, si è tentato letteralmente di tutto. I più faciloni hanno provato a sostenere che l’esame sia stato erroneamente effettuato “su alcuni rattoppi medievali del telo”, e non sull’originale. [...]

Questi scienziati, in altre parole, sono in grado di datare un frammento organico, misurandone il decadimento radioattivo, ma non sanno nemmeno distinguere un “rattoppo medioevale” da un tessuto di 1300 anni più vecchio.



(E soprattutto, una volta accortisi dell’errore, costoro si dimenticano di rifare il test, e dicono  “vabbè, ormai è andata così. Vuol dire che la prossima volta staremo più attenti”).

Ci sono anche tentativi più cauti ed equilibrati di mettere in dubbio la validità del radiocarbonio, ma la loro implausibilità emerge dalla contorsione stessa del ragionamento a cui debbono affidarsi: l’esempio che segue dovrebbe bastare per tutti.

In un documentario della BBC intitolato “The Turin Shroud”, scopriamo che esistono tracce di una Sindone, simile in tutto e per tutto a quella di Torino, già nella chiesa di Costantinopoli nel 1200 (un centinaio di anni prima della fatidica datazione al radiocarbonio, tanto per intenderci).

Le prove che si trattasse dello stesso telo, secondo il documentario, starebbero nel fatto che il telo di Costantinopoli – che compare solo dipinto, nell’iconografia locale, e non nell’originale - presenti alcune pieghe, e alcuni fori, proprio "negli stessi punti" della Sindone.



Va bene, accontentiamoci. Sappiamo che questo non basta a retrodatare la Sindone fino al tempo di Gesù, ma è già un buon passo avanti (anzi, indietro).

Ecco che a quel punto nel documentario salta fuori dal cilindro il cosiddetto “sudario di Oviedo”, ...



... un velo mortuario che risale al 6° secolo, e che presenta macchie di sangue “perfettamente sovrapponibili a quelle che compaiono sulla Sindone, in vicinanza del volto”. Al pubblico, in realtà, viene mostrata solo una vaga somiglianza fra due macchie qualunque...



... ma noi continuiamo a fidarci, e “deduciamo” che la Sindone di Torino, essendo “perfettamente sovrapponibile” al sudario di Oviedo, debba aver avvolto per forza lo stesso corpo. (E’ noto infatti che i morti, specialmente se crocefissi, non sanguinino mai nello stesso punto del corpo).

Ci siamo quasi: la Sindone ora ha 1.500 anni, e ne mancano solo 500 all’agognato traguardo.

Scopriamo a questo punto che l’isotopo del carbonio, che nasce negli strati alti dell’atmosfera, prima di venir assorbito dall’anidride carbonica, e trasferirsi definitivamente nelle piante da cui viene prodotto il lino, passa un paio di mesi a bighellonare fra le nuvole come monossido di carbonio.



“Se quindi quel monossido di carbonio – spiega il documentario – si fosse in qualche modo legato al lino della Sindone, potrebbe farla apparire più giovane di quello che è. In realtà – precisa il documentario – basterebbe una contaminazione del 2% della superficie del telo per influenzare la datazione del carbonio di ben 1300 anni”.

Ecco fatto: ora la Sindone può avere tranquillamente 2000 anni, in barba a qualunque esame scientifico ci si possa inventare. E poi dicono che i miracoli non esistono!

Naturalmente, il documentario si dimentica di citare le conseguenze devastanti che questo ragionamento, se davvero corretto, porterebbe a TUTTE la datazioni al radiocarbonio mai eseguite fino ad ora. Ma questo, per certe persone, non ha la minima importanza: ora sappiamo che la Sindone può avere 2000 anni, e che quindi era sicuramente il telo che avvolse il corpo di Cristo.

Ite, Missa est.

Massimo Mazzucco


Marco Pizzuti ha realizzato una scheda storica sulla Sindone di Torino.


La sacra Sindone
 

Scheda storica

Cosa è la sacra Sindone

La reliquia cristiana più famosa del mondo è indubbiamente la sacra Sindone, custodita nel Duomo di Torino. Il Vaticano non ha mai assunto una posizione ufficiale in proposito, ma secondo i fedeli si tratterebbe del lenzuolo di lino utilizzato per coprire le spoglie mortali del salvatore divino dopo la sua crocefissione. A testimoniare la presunta autenticità della reliquia ci sarebbe l’immagine stessa del Cristo rimasta impressa nel telo.



La sua prima apparizione pubblica

Tutti gli studiosi sono d'accordo nel ritenere documentata a sufficienza la storia della Sindone a partire dalla metà del XIV secolo, data della sua prima apparizione pubblica [1]. Sul suo precedente trascorso, come sull’epoca di origine, non vi è invece accordo tra storici ed esperti.

Di certo sappiamo solo che la Sindone, verso la metà del XIV secolo, si trovava in possesso del cavaliere Goffredo di Charny e di sua moglie Giovanna di Vergy. Non è tuttavia noto come i due coniugi l’abbiano ottenuta. Il 20 giugno 1353 Goffredo donò la Sindone al capitolo dei canonici della Collegiata di Lirey [2].

La prima ostensione pubblica avvenne nel 1357, un anno dopo la morte di Goffredo.

Nel 1415 Margherita di Charny, discendente di quest’ultimo, si riappropriò del lenzuolo (dando origine ad un lungo contenzioso con i canonici), e lo tenne fino al 1453, anno in cui lo vendette ai duchi di Savoia.

Questi la conservarono a Chambéry, dove nel 1532 la Sindone sopravvisse ad un incendio che la danneggiò in diversi punti.

Nel 1578 venne infine trasportata a Torino, dove nel frattempo i Savoia avevano trasferito la loro capitale, per rimanervi quasi ininterrottamente fino ad oggi.
Nel 1898 la Sindone venne fotografata per la prima volta, e in tale occasione si scoprì che l'immagine impressa sul lenzuolo presentava le caratteristiche di un negativo fotografico.

Nel 1988 venne eseguita la perizia radiometrica con la tecnica del Carbonio 14 [3] che ha datato la realizzazione del lenzuolo in un intervallo di tempo compreso tra il 1260 e il 1390. Il risultato tuttavia fu contestato da alcuni studiosi cattolici, come Luigi Gonella, che affermarono che gli esami erano stati eseguiti esclusivamente sulle parti del telo che costituivano dei rattoppi medioevali [4].

Le caratteristiche antropometriche

Mediante analisi antropometrica computerizzata è stata verificata la compatibilità anatomica dell’immagine frontale con quella dorsale, nonché la compatibilità delle caratteristiche somatiche dell'uomo della Sindone a quelle del ceppo razziale semita.

Secondo le misurazioni antiche, la statura di Gesù che si desume dalla Sindone sarebbe di 183 cm. Gli accertamenti moderni tuttavia hanno dato risultati differenti: la maggior parte degli studiosi calcola la statura dell'uomo della Sindone tra i 175 e i 185 cm. Altri, come Giulio Ricci, hanno proposto una misura di soli 163 cm, che sarebbe più vicina alla statura media degli abitanti della Palestina del I secolo.

Esame dei pollini

Secondo il criminologo svizzero Max Frei Sulzer, sul tessuto della Sindone sono presenti pollini di diverse specie vegetali specifiche della Palestina e dell'Asia Minore. Il transito della Sindone per questi paesi concorda con la ricostruzione proposta per la storia della Sindone anteriore al XIV secolo. Dopo la morte di Frei (1983), il suo lavoro è stato criticato pesantemente da alcuni ricercatori indipendenti che hanno avanzato sospetti di manipolazione dei campioni.

Esame delle polveri

Il pulviscolo trovato sul lenzuolo ha una composizione chimica simile a quella della polvere utilizzata per i teli funerari egiziani, il che suggerisce l'uso di natron, un composto usato per l'inumazione dei cadaveri. Inoltre è stata rilevata aragonite dalla composizione analoga a quella di campioni prelevati a Gerusalemme.

Datazione chimica

Raymond Rogers ha proposto un metodo chimico di datazione della Sindone basato sulla misura della vanillina presente nel tessuto. Secondo la sua stima, la datazione della Sindone sarebbe compresa all'incirca tra il 1000 a.C. e il 700 d.C..

La postura

Un’altra caratteristica della sacra Sindone che possiamo facilmente constatare riguarda la postura del corpo impressa su si essa. L’impronta dorsale completa infatti è ottenibile solo qualora la salma sia stata posta su una superficie morbida.



Le piante dei piedi ad esempio sono in grado di lasciare una traccia solamente se questi ultimi sprofondano all’interno di un cuscino o di un altro materiale dalle caratteristiche simili.
 
E se poi con una simulazione solleviamo le spalle di circa 15 cm rispetto al tronco ci accorgiamo che le mani scivolano proprio nella stessa posizione impressa sulla Sindone, ma ciò a patto che anche la parte superiore delle braccia venga sorretta da supporti morbidi.

Inoltre, se il capo dell’uomo della Sindone fosse stato poggiato su una superficie rigida e piatta i suoi capelli sarebbero scesi verso il basso, mentre in questo caso li vediamo incorniciare il viso proprio come se fosse adagiato su di un cuscino.


Pertanto, nel caso della Sindone di Torino la sola conclusione logica possibile indica che l’immagine che appare su di essa sia stata prodotta da un corpo che era stato coricato su una superficie soffice.

Il mistero irrisolto

Al di là di tutti i dati riportati, che permettono solo delle conclusioni di tipo probabilistico, resta il problema di fondo, posto dalla meccanica stessa che avrebbe portato alla formazione dell’immagine sul telo. Anche ipotizzando che sia un falso medioevale, infatti, nessuno è mai riuscito a spiegare come quell’immagine sarebbe stata impressa sul supporto di lino.

1) L’immagine si presenta come se fosse un negativo fotografico, ed è necessario invertirla a sua volta, al negativo, per vedere le normali fattezze del corpo:



Tuttavia, se si osserva alla luce infrarossa (8-14 micrometri), essa appare come un positivo fotografico, con particolari anatomici non del tutto corrispondenti.

2) L’immagine rivela alcune proprietà tridimensionali, in quanto i chiaroscuri corrispondono alla distanza effettiva fra un lenzuolo e le varie parti di un eventuale cadavere avvolto in esso.

Questa caratteristica di tridimensionalità suggerisce che il meccanismo di formazione dell’immagine abbia agito a distanza, e si sia attenuato in conformità delle leggi fisiche relative al tipo di energia irradiata.

3) La riproduzione è superficiale da due diversi punti di vista:

a) Un filo sindonico è composto di 80-120 fibrille di lino e se prendiamo in esame un singolo filo su cui è impressa l’immagine, solo pochissime delle fibrille più esterne (10-20 al massimo) risultano essere colorate, mentre tutte le rimanenti non lo sono;



b) Considerando una singola fibrilla di immagine, la cellulosa che compone più del 90% del tessuto di lino non è tinta: risulta colorato solo lo strato più superficiale del telo, per uno spessore totale di appena 200-300 nanometri.

4) Il ritratto corporeo frontale è particolarmente superficiale in corrispondenza del volto e delle mani. All’interno del tessuto di lino infatti non risulta impressa alcuna immagine. Le macchie di sangue invece sono impregnate nel tessuto, trapassandolo da parte a parte.

5) L’immagine corporea dorsale è leggermente più profonda, rispetto alla superficie del telo.

6) La figura non è composta da pigmenti pittorici, come acquarello o tempera, nè risulta la presenza dei classici collanti utilizzati normalmente per aggregare il colore al supporto tessile. L’immagine appare invece generata da una reazione chimica, che ha interessato solo il sottile rivestimento superficiale delle fibrille. Nasce a questo punto

 L’ipotesi della bruciatura: dovendo escludere il banale falso pittorico, qualcuno ha suggerito che l’immagine sia in realtà una bruciatura, ottenuta appoggiando il telo ad un bassorilievo – riscaldato appositamente - della figura rappresentata.



Il fatto però che la “colorazione” (l’immagine) compaia solo sulla primissima superficie del telo, ma non in profondità, sembra escludere l’ipotesi della bruciatura, che comporterebbe invece un’alterazione istantanea di tutta la sua sezione. (Per “scottarlo” solamente in superficie, senza intaccare le fibre sottostanti, occorrerebbero tecniche molto più raffinate di quelle disponibili a quel tempo).

7) La figura non può essersi formata per contatto diretto con il cadavere, in quanto compare anche nelle zone del telo dove non vi è stata aderenza con il corpo.
 
Vi è inoltre, in proposito, un serio problema di tipo prospettico: l’immagine presenta caratteristiche di tipo tridimensionale (i chioaroscuri), ma risulta “disegnata” su un piano bidimensionale, come se si trattasse di una fotografia.
 
In altre parole, si tratta di un’immagine bidimensionale che contiene al suo interno informazioni tridimensionali.

Se adagiamo un telo di lino bianco su un corpo fisico rivestito di colorante, per poi distenderlo su un piano orizzontale (“aprirlo”), non potremo più riconoscere le fattezze del soggetto originario.



In quel caso avremmo un’impronta prospetticamente deformata, se non irriconoscibile del tutto, a causa dell’alterazione delle proporzioni risultante dalla distensione del telo.

Sulla Sindone appare invece un’immagine perfettamente proporzionata, che non può esservi stata impressa dal contatto diretto con il corpo fisico sottostante.
 
CONCLUSIONE

Tutto questo sembra lasciare aperte due ipotesi soltanto: o l’immagine riprodotta dalla Sindone è frutto di un evento miracoloso, non spiegabile scientificamente, che trova fondamento solo all’interno del dogma religioso, oppure si tratta di un falso realizzato con l’aiuto di qualche tecnica chimico-fotografica a noi rimasta sconosciuta.

Il maggiore indiziato, come geniale artefice dell’opera, è senza dubbio Leonardo Da Vinci (1452-1519), ma in tal caso non potrebbe trattarsi del telo esposto già nel 1357, bensì di un falso successivo.
 
Marco Pizzuti

NOTE:

1) Wikipedia

2) Giulio Ricci, L'uomo della Sindone è Gesù, 1989, p. 22.

3) P.E. Damon et al., Radiocarbon dating of the Shroud of Turin, Nature 337, 611-615, 1989.

4) Joseph G. Marino, M. Sue Benford, Evidence for the skewing of the C-14 dating of the Shroud of Turin due to repairs, Sindone 2000, Orvieto Worldwide Congress 2000.

5) Wikipedia

6) Citaz. degli atti presentati nel convegno di Lorenzago del 19 luglio 2007: “LA SINDONE: VANGELO SCIENTIFICO DA RIVALUTARE.



SINDONE: La prima fotografia della storia umana?


In realtà, l'ipotesi che vi sia il genio di Leonardo dietro al mistero della Sindone è tutt'altro che gratuita.

E' vero infatti che la comparsa ufficiale della Sindone (1357) escluderebbe l’ipotesi che Leonardo, nato un centinaio di anni dopo, ne sia stato l'autore. Ma sappiamo anche che la Sindone presentata nel 1357 fece storcere il naso a molte persone, prelati compresi, poichè sembra fosse solo l'ennesimo tentativo maldestro di far passare per sudario di Cristo un banalissimo lino dipinto in malo modo.

Di "croste" di quel tipo ne circolavano già in abbondanza, ...



... mentre la Sindone che oggi è conservata a Torino, assolutamente credibile, tornò in scena proprio nel periodo in cui Leonardo viveva gli anni di maggiore fulgore della propria carriera.

Vi sono inoltre stretti legami fra Leonardo, i Savoia e il papa stesso: Giuliano de' Medici, per cui Leonardo lavorava, era sposato con Filiberta di Savoia, ed era anche il fratello di Papa Leone X.

Nulla di più probabile, quindi, che il Papa gli abbia commissionato il lavoro, e che Leonardo abbia accettato la sfida, apparentemente impossibile, di realizzare finalmente un "sudario di Cristo" che non venisse deriso dal popolo nell'arco di 24 ore dalla sua presentazione.

LA TECNICA

Ma soprattutto, vi sono diverse indicazioni di tipo tecnico a suggerire che Leonardo abbia realizzato il telo misterioso.

Per prima cosa, esisteva già a quel tempo, nel castello di Fontanellato, una primitiva "camera obscura", ovvero una stanza nella quale l'unica luce disponibile passava attraverso un foro nella parete, dove era stata collocata una rudimentale lente di ingrandimento.



In questo modo si potevano vedere, riflesse sulla parete opposta, le immagini capovolte di quanto accadeva all'esterno di quel muro.



Leonardo, nel frattempo, aveva già mostrato un preciso interesse per le leggi ottiche in generale, ed per il meccanismo di proiezione che sta alla base della camera obscura in particolare.



Se quindi Leonardo avesse messo a punto un processo chimico in grado di fissare in qualche modo la luce su un supporto tessile, come ad esempio il lino, sarebbe stato perfettamente in grado di realizzare il misterioso telo che ancora oggi affascina gli studiosi di mezzo mondo.

Nicholas Alan, uno studioso sud-africano della Sindone, ha provato a realizzare qualcosa di simile, utilizzando solo le tecniche e i materiali conosciuti al tempo di Leonardo. Piazzando una figura umana di fronte ad una "camera obscura" (sotto, al centro), e collocando al suo interno un drappo di lino, ricoperto di particolari sostanze vegetali, a mo' di lastra fotografica ...



... ha ottenuto un risultato molto simile a quello che vediamo ancora oggi sulla Sindone di Torino.



Fino ad oggi questa sembra l'unica spiegazione plausibile - senza ricorrere al sovrannaturale, ovviamente - che sia in grado di accomodare tutti i dati disponibili che formano il cosiddetto mistero della Sindone:

- le caratteristiche di negativo
- la tridimensionalità dell'immagine
- la superficialità dell'impressione
- la mancanza di collanti, pigmenti, o altri composti di genere pittorico

Se questa fosse la soluzione dell'enigma, non solo avremmo di fronte la prima fotografia scattata nella storia dell'umanità, ma quasi sicuramente avremmo anche un soggetto eccezionale che compare al suo interno: Leonardo medesimo.

E' noto infatti come il maestro toscano amasse comparire, nelle proprie opere, celato sotto forme diverse, ed in questo caso la somiglianza fra il volto di Leonardo e quella dell'uomo della Sindone sarebbe troppo forte per non pensare che sia stato lui stesso, per la prima volta nella storia, a voler essere immortalato in un'immagine di tipo fotografico.



Massimo Mazzucco


Questo articolo era già stato pubblicato nel 2008. Per chi fosse interessato, nei commenti compaiono diversi post di tipo tecnico sulla questione del radiocarbonio.