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La mia vita da bracciante: il caporalato e i contratti a metà
- EnzoCaricoTri
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1 Giorno 52 Minuti fa - 1 Giorno 51 Minuti fa #58311
da EnzoCaricoTri
La mia vita da bracciante: il caporalato e i contratti a metà è stato creato da EnzoCaricoTri
Mi chiamo Vincenzo, e ho lavorato in passato come bracciante agricolo ad Acquaviva, in Puglia, raccogliendo pomodori. Voglio condividere la mia esperienza per fare luce sul caporalato, un sistema spesso descritto solo come sfruttamento, ma che nella mia realtà era più complesso. Non nego i problemi, ma credo che raccontare la mia storia possa aiutare a capire cosa succede davvero nei campi e come si potrebbe costruire un sistema più giusto.Ad Acquaviva, ogni giorno, circa 300 di noi lavoravano nei campi. La maggior parte erano italiani, non solo migranti, come a volte si pensa. Io guadagnavo 50 euro al giorno per 9 ore e mezza di lavoro. Era prima del Covid, e in una terra con poche opportunità lavorative, quella paga era considerata buona, persino ambita. Non dico che fosse perfetta, ma per molti di noi, in un contesto di disoccupazione, era un modo per tirare avanti.
Il lavoro era faticoso, ma le condizioni erano dignitose: le ore concordate venivano rispettate, e non c’erano abusi o pressioni.Avevamo un contratto di lavoro, ma funzionava in modo particolare: per ogni due giornate di lavoro effettive, ne veniva registrata solo una come regolare. In pratica, lavoravamo il doppio delle ore dichiarate ufficialmente. Questo significava che i contributi previdenziali, le assicurazioni e le tutele erano calcolati solo su metà del tempo realmente lavorato. I 50 euro al giorno, quindi, erano il nostro salario effettivo, ma sulla carta risultava che lavoravamo meno e guadagnavamo di più per giornata registrata.Il caporale era l’intermediario tra noi e il titolare dell’azienda agricola. Prendeva dai 2 ai 4 euro a persona dal datore di lavoro, una cifra che non incideva direttamente sul nostro salario. Non lo vedevo come un sfruttatore, ma come una figura che organizzava il lavoro, mettendo in contatto chi cercava manodopera con chi, come me, aveva bisogno di un’occupazione. Senza il caporale, le giornate lavorative sarebbero state simili: stesso salario, stesse ore. Ma questo sistema, con i contratti “a metà”, mi ha fatto riflettere: perché il caporalato resta così diffuso? E qual è la differenza con un’agenzia interinale?La risposta sta nell’economia. I contratti collettivi nazionali (CCNL) per i braccianti agricoli prevedono salari, contributi, ferie e assicurazioni che, se applicati pienamente, costerebbero alle aziende quasi il doppio rispetto ai 50 euro che prendevamo noi. Nel nostro caso, registrare solo una giornata ogni due era un modo per ridurre i costi: l’azienda pagava contributi e tutele solo per metà del lavoro reale, mentre noi ricevevamo un salario che, pur inferiore al CCNL, era accettabile in un contesto di bisogno. Per un’azienda con 300 lavoratori, passare da un sistema come il nostro (circa 15.000 euro al giorno, con contratti “a metà”) a un sistema pienamente regolare (circa 30.000 euro al giorno) significherebbe non riuscire a competere sul mercato. La grande distribuzione, che impone prezzi bassissimi sui pomodori, e la concorrenza internazionale, con manodopera a costi ancora più bassi, non lasciano margini.Le agenzie interinali, in teoria, potrebbero sostituire i caporali. Ma un’agenzia deve rispettare il CCNL al 100%, registrando tutte le ore lavorate e aggiungendo i propri margini di profitto. Questo farebbe lievitare i costi, rendendo il loro servizio impraticabile per la maggior parte delle aziende agricole. Nel nostro caso, se avessimo lavorato tramite un’agenzia, il costo per l’azienda sarebbe stato insostenibile, e probabilmente il lavoro sarebbe stato delocalizzato o meccanizzato.Non sto dicendo che il nostro sistema fosse ideale. Anche se non mi sentivo sfruttato, il contratto “a metà” aveva dei limiti etici evidenti. I contributi versati erano insufficienti: per ogni due giorni di fatica, solo uno contava per la mia pensione o per altre tutele. Se mi fossi infortunato o se, in futuro, mi ritrovassi con una pensione minima, pagherei il prezzo di quel compromesso. Inoltre, il caporalato, anche quando non è predatorio, opera in un’area grigia, senza garanzie a lungo termine per i lavoratori. Un’agenzia interinale, pur con i suoi difetti, offre più trasparenza e tutele, ma il suo costo la rende un’opzione lontana dalla realtà dei campi.Mi sono chiesto: perché il caporalato continua a funzionare, nonostante le critiche? La risposta è che risponde a un bisogno reale. I lavoratori, come me, accettano queste condizioni perché l’alternativa spesso è la disoccupazione. Le aziende, schiacciate dai prezzi bassi imposti dalla grande distribuzione, usano il caporalato per sopravvivere. Nel mio caso, il caporale non era un “mostro”, e il sistema sembrava funzionare: la paga era chiara, le ore rispettate. Ma la condanna generale del caporalato, che a volte mi sembra un po’ esagerata, nasce da casi più gravi, dove i lavoratori sono davvero sfruttati, pagati pochi euro al giorno o costretti a vivere in condizioni disumane. Quei casi esistono, e non vanno ignorati.Come se ne esce? Non basta puntare il dito contro i caporali o le aziende. Serve un cambiamento sistemico. Penso a soluzioni come:Cooperative di lavoratori, che gestiscano l’intermediazione a costi più bassi delle agenzie private, garantendo contratti veri.Incentivi fiscali per le aziende che assumono regolarmente, per rendere i CCNL più accessibili.Prezzi equi per i prodotti agricoli, per dare alle aziende i margini necessari a pagare salari dignitosi senza fallire.Controlli più efficaci, ma anche alternative concrete al caporalato, come piattaforme pubbliche per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.Voglio che la mia storia arrivi a chi può fare la differenza: associazioni, sindacati, politici, ma anche altri lavoratori e aziende agricole. Il caporalato, nel mio caso, non era sfruttamento puro, ma un compromesso dettato da un sistema economico che non offre vie d’uscita facili. I contratti “a metà” erano un modo per tirare avanti, ma non sono la soluzione per il futuro. Spero che la mia testimonianza possa aprire un dialogo vero, senza pregiudizi, per costruire un’agricoltura che dia dignità ai lavoratori e sostenibilità alle aziende. Se avete proposte o esperienze da condividere, sono pronto a confrontarmi
Il lavoro era faticoso, ma le condizioni erano dignitose: le ore concordate venivano rispettate, e non c’erano abusi o pressioni.Avevamo un contratto di lavoro, ma funzionava in modo particolare: per ogni due giornate di lavoro effettive, ne veniva registrata solo una come regolare. In pratica, lavoravamo il doppio delle ore dichiarate ufficialmente. Questo significava che i contributi previdenziali, le assicurazioni e le tutele erano calcolati solo su metà del tempo realmente lavorato. I 50 euro al giorno, quindi, erano il nostro salario effettivo, ma sulla carta risultava che lavoravamo meno e guadagnavamo di più per giornata registrata.Il caporale era l’intermediario tra noi e il titolare dell’azienda agricola. Prendeva dai 2 ai 4 euro a persona dal datore di lavoro, una cifra che non incideva direttamente sul nostro salario. Non lo vedevo come un sfruttatore, ma come una figura che organizzava il lavoro, mettendo in contatto chi cercava manodopera con chi, come me, aveva bisogno di un’occupazione. Senza il caporale, le giornate lavorative sarebbero state simili: stesso salario, stesse ore. Ma questo sistema, con i contratti “a metà”, mi ha fatto riflettere: perché il caporalato resta così diffuso? E qual è la differenza con un’agenzia interinale?La risposta sta nell’economia. I contratti collettivi nazionali (CCNL) per i braccianti agricoli prevedono salari, contributi, ferie e assicurazioni che, se applicati pienamente, costerebbero alle aziende quasi il doppio rispetto ai 50 euro che prendevamo noi. Nel nostro caso, registrare solo una giornata ogni due era un modo per ridurre i costi: l’azienda pagava contributi e tutele solo per metà del lavoro reale, mentre noi ricevevamo un salario che, pur inferiore al CCNL, era accettabile in un contesto di bisogno. Per un’azienda con 300 lavoratori, passare da un sistema come il nostro (circa 15.000 euro al giorno, con contratti “a metà”) a un sistema pienamente regolare (circa 30.000 euro al giorno) significherebbe non riuscire a competere sul mercato. La grande distribuzione, che impone prezzi bassissimi sui pomodori, e la concorrenza internazionale, con manodopera a costi ancora più bassi, non lasciano margini.Le agenzie interinali, in teoria, potrebbero sostituire i caporali. Ma un’agenzia deve rispettare il CCNL al 100%, registrando tutte le ore lavorate e aggiungendo i propri margini di profitto. Questo farebbe lievitare i costi, rendendo il loro servizio impraticabile per la maggior parte delle aziende agricole. Nel nostro caso, se avessimo lavorato tramite un’agenzia, il costo per l’azienda sarebbe stato insostenibile, e probabilmente il lavoro sarebbe stato delocalizzato o meccanizzato.Non sto dicendo che il nostro sistema fosse ideale. Anche se non mi sentivo sfruttato, il contratto “a metà” aveva dei limiti etici evidenti. I contributi versati erano insufficienti: per ogni due giorni di fatica, solo uno contava per la mia pensione o per altre tutele. Se mi fossi infortunato o se, in futuro, mi ritrovassi con una pensione minima, pagherei il prezzo di quel compromesso. Inoltre, il caporalato, anche quando non è predatorio, opera in un’area grigia, senza garanzie a lungo termine per i lavoratori. Un’agenzia interinale, pur con i suoi difetti, offre più trasparenza e tutele, ma il suo costo la rende un’opzione lontana dalla realtà dei campi.Mi sono chiesto: perché il caporalato continua a funzionare, nonostante le critiche? La risposta è che risponde a un bisogno reale. I lavoratori, come me, accettano queste condizioni perché l’alternativa spesso è la disoccupazione. Le aziende, schiacciate dai prezzi bassi imposti dalla grande distribuzione, usano il caporalato per sopravvivere. Nel mio caso, il caporale non era un “mostro”, e il sistema sembrava funzionare: la paga era chiara, le ore rispettate. Ma la condanna generale del caporalato, che a volte mi sembra un po’ esagerata, nasce da casi più gravi, dove i lavoratori sono davvero sfruttati, pagati pochi euro al giorno o costretti a vivere in condizioni disumane. Quei casi esistono, e non vanno ignorati.Come se ne esce? Non basta puntare il dito contro i caporali o le aziende. Serve un cambiamento sistemico. Penso a soluzioni come:Cooperative di lavoratori, che gestiscano l’intermediazione a costi più bassi delle agenzie private, garantendo contratti veri.Incentivi fiscali per le aziende che assumono regolarmente, per rendere i CCNL più accessibili.Prezzi equi per i prodotti agricoli, per dare alle aziende i margini necessari a pagare salari dignitosi senza fallire.Controlli più efficaci, ma anche alternative concrete al caporalato, come piattaforme pubbliche per l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.Voglio che la mia storia arrivi a chi può fare la differenza: associazioni, sindacati, politici, ma anche altri lavoratori e aziende agricole. Il caporalato, nel mio caso, non era sfruttamento puro, ma un compromesso dettato da un sistema economico che non offre vie d’uscita facili. I contratti “a metà” erano un modo per tirare avanti, ma non sono la soluzione per il futuro. Spero che la mia testimonianza possa aprire un dialogo vero, senza pregiudizi, per costruire un’agricoltura che dia dignità ai lavoratori e sostenibilità alle aziende. Se avete proposte o esperienze da condividere, sono pronto a confrontarmi
Ultima Modifica 1 Giorno 51 Minuti fa da EnzoCaricoTri.
I seguenti utenti hanno detto grazie : Aigor, Primus eccetera
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- Nostra Fiducia Solidale
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3 Ore 44 Minuti fa #58386
da Nostra Fiducia Solidale
Robur ubique invenitur
Risposta da Nostra Fiducia Solidale al topic La mia vita da bracciante: il caporalato e i contratti a metà
Buongiorno,
analisi inconsueta e soprattutto veritiera ossia esposta da chi ha realmente provato l'esperienza.
Può essere davvero lo spunto giusto per affrontare questioni "spinose" non solo in ambito agricolo.
Le mandiamo il nostro contatto con Messaggio Privato
analisi inconsueta e soprattutto veritiera ossia esposta da chi ha realmente provato l'esperienza.
Può essere davvero lo spunto giusto per affrontare questioni "spinose" non solo in ambito agricolo.
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Robur ubique invenitur
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