Con gli amici di ReOpen stiamo facendo anche la versione francese del film. Questa è la prima parte (le altre seguiranno al più presto):
Ne approfitto per pubblicare una intervista che mi ha fatto ReOpen911, che comparirà anche sul loro sito. Sono argomenti che ci interessano tutti nella stessa misura. D: Vuole presentarsi, per favore? R: Mi chiamo Massimo Mazzucco, faccio il regista e lo sceneggiatore. Sono anche il responsabile di un sito italiano di news, luogocomune.net. Questo sito è nato, nel 2004, intorno alla ricerca sull'11 settembre. Poi, con il passare degli anni, i nostri interessi si sono allargati a tutto quello che riguarda le cosiddette "grandi cospirazioni" della storia: dal caso Kennedy a Big Pharma, dall'economia globale alle questioni ambientali. Io credo che la cosa più importante non sia l'argomento di cui parli, ma il modo in cui ne parli: se usi un approccio analitico, basato esclusivamente su fatti documentabili, ... ... puoi parlare di qualunque cosa, senza pericolo di essere smentito. Se invece usi un atteggiamento dogmatico o fideistico, dicendo "lo sanno tutti che...", anche l'argomento più solido e reale verrà trattato in modo sbagliato. D: Un altro film sull'11 settembre? Che cos'ha di particolare questo film rispetto agli altri (Loose Change, Zéro, ecc.)? R: Anch'io avevo già fatto un documentario sull'11/9 (Inganno Globale), sulla stessa lunghezza d'onda di Loose Change, Zero e molti altri, che elencava tutte le falle della versione ufficiale. Ma questo è un film diverso, perché riassume e mette a confronto, per la prima volta, tutte le posizioni del Movimento per la verità e tutte le risposte dei debunkers, una accanto all'altra. In questo modo il pubblico ha finalmente la possibilità di confrontare le tesi una per una, e di farsi la propria opinione su cosa sia realmente successo l'11 di settembre. D: Ci sono degli elementi nuovi sull'11 settembre? R: Gli elementi nuovi, negli ultimi anni sono stati molti. Uno dei più importanti è stato sicuramente la pubblicazione nel 2008 del rapporto NIST sull'edificio 7. Questo documento infatti ci ha fornito, paradossalmente, le prove necessarie per dimostrare che la versione ufficiale sia falsa. Lo stesso rapporto NIST riconosce che l'edificio 7 sia crollato in caduta libera per oltre un terzo del crollo globale, ammettendo quindi implicitamente che sia stata usata una demolizione controllata. (Non esiste al mondo un altro modo conosciuto per raggiungere una accelerazione di caduta libera, nel crollo di un edificio, senza l'utilizzo di esplosivi). A mia volta, durante le ricerche per il film, mi sono imbattuto in alcune novità interessanti, che ho incorporato nella trama. Ma queste preferisco che siate voi a scoprirle, visto che stanno tutte nel film online. D: A che tipo di pubblico è indirizzato il suo film? R: Il film è indirizzato soprattutto ad un pubblico generico, che sappia poco o nulla dell'11 settembre. Stiamo cioè parlando, purtroppo, del 99% della popolazione mondiale. Nonostante questo, come già detto, nel film ci sono anche diverse novità che possono risultare di grande interesse per i ricercatori più esperti. D: Lei parla di "10 anni di dibattito sull'11 settembre". Ma non c'è mai stato veramente un dibattito, perché le questioni fondamentali sono sempre state evitate, non è così? R: Quando parlo di dibattito mi riferisco al confronto che c'è stato in rete fra il Movimento per la verità e i debunkers in tutto il mondo, dal 2002 ad oggi. Si spera che prima o poi questo dibattito possa avvenire anche a livello di mainstream media, nelle varie nazioni, ed è proprio per questo che ho fatto il mio film. Per mettere a disposizione di tutti la documentazione più solida e credibile che riuscissi a trovare, nel momento in cui questa diventasse utile in un dibattito a livello mainstream. In realtà, ci sono già state diverse trasmissioni (in Italia, Germania, Francia, ecc.) che hanno fatto finta di affrontare in modo equilibrato le tesi opposte sul 9/11. Non si tratta però di trasmissioni oneste, il cui scopo sia di arrivare alla verità, ma è anzi il contrario: queste trasmissioni vengono fatte per confondere ancora di più le idee del pubblico, nel momento in cui questo comincia a porsi delle serie domande su questioni importanti come l'11 settembre. ("Prima ti deridono, poi ti attaccano...") Se ci fate caso questi dibattiti sono sempre molto brevi, e vengono regolarmente invitate troppe persone nella stessa serata: in questo modo ciascuno parla al massimo tre o quattro volte, e non si arriva mai a niente di definitivo, che è proprio lo scopo di queste trasmissioni: far vedere che "ne parli" (perchè in realtà sei obbligato a farlo, dalla crescente curiosità del pubblico), senza però correre il rischio di arrivare a conclusioni certe. Queste situazioni finiscono così per favorire sistematicamente i debunkers, il cui scopo è proprio quello di confondere le idee nella testa degli ascoltatori, invece di chiarirle. Da voi ad esempio c'è stato "L'objet du scandale" che ha dedicato diverse puntate all'11 settembre. In queste puntate il vostro debunker nazionale, Jerome Quirant, ha sempre fatto la parte del leone, perchè è facile andare in TV e dire che "i complottisti non hanno mai tirato fuori uno straccio di prova contro la versione ufficiale", quando gli altri hanno pochissimo tempo a disposizione per smentirti, e non sempre sono ben preparati per farlo. Dopo lunghi anni di battaglie - alla radio, televisione e Internet - io ho capito che l'unico modo per risultare convincente, in un confronto del genere, è di porre già in partenza al debunker una domanda precisa, che contenga già lo sbarramento ad ogni sua possibile via di fuga. Se ad esempio tu dici "si vedono gli squibs ai lati delle torri gemelle mentre crollano", Quirant ti risponderà "questi squibs sono dovuti alla pressione dell'aria causata dal crollo dei piani superiori", e tu non riesci più a ribattere, perché nel frattempo il conduttore ha già dato la parola a qualcun altro. Se tu invece dici "si vedono degli squibs ai lati delle torri che non possono essere provocati dalla pressione dell'aria, visto che si verificano 30 o 40 piani sotto al livello del crollo, e non possono nemmeno risultare dal trasferimento dell'aria nelle trombe delle scale e degli ascensori, per questo e quest'altro motivo...", allora lui rimane senza risposta, esita, e tu vinci il primo set sei a zero. Oppure: se tu dici "hanno trovato dei rottami di UA 93 a 12 km dal luogo dell'impatto", Quirant risponderà "si tratta solo di cose molto leggere, come pezzetti di carta, che sono stati trasportati dal vento", e tu difficilmente riuscirai a ribattere in modo efficace. Se invece tu gli chiedi già in partenza "spiegami come sia possibile che dei rottami di UA 93 - e non si trattava solo di pezzi di carta, ma anche di frammenti solidi, come dice la CNN - siano potuti finire a 12 km dal luogo di impatto, in una giornata in cui c'era soltanto una brezza leggera", allora lui rimane senza risposta, esita, e tu vinci anche il secondo set sei e zero. Come diceva Sun Tzu, "Se conosci l'avversario, hai già vinto metà della tua battaglia". È una semplice questione dialettica: più è precisa ed accurata la tua domanda, più il debunker sarà obbligato a riconoscere di non avere una risposta valida. È per questo motivo che il mio film dura cinque ore: ho dovuto prendere ciascuno degli argomenti e a) presentarlo in maniera dettagliata per chi ancora non lo conosce, b) fargli ascoltare le risposte dei debunkers a quell'argomento specifico, e c) spiegare allo spettatore perché quelle risposte non reggono. Tanto per non sbagliare, nel film ho anche posto una domanda precisa, fatta secondo i criteri di cui sopra, alla fine di ogni argomento presentato. Lo scopo ultimo è di dimostrare che in realtà i debunkers, nonostante quello che raccontano, non hanno nessuna risposta valida per riuscire a tenere in piedi la versione ufficiale dell'11 settembre. E' stato un lavoro minuzioso, a volte persino noioso (non è particolarmente eccitante dover spiegare al pubblico che l'aria del 70° piano non poteva far esplodere le finestre al 40°), ma era assolutamente necessario farlo, per uscire dallo stallo in cui i debunkers erano riusciti a costringere il dibattito, grazie alla marea di bugie che hanno raccontato. Teniamo infatti presente che fino al 2004-2005 c'era solo la bugia della versione ufficiale da smascherare. Oggi invece ci sono due strati diversi di bugie da scrostare, uno sopra l'altro: il primo rimane quello della versione ufficiale, il secondo è costituito dalle dozzine di bugie che i debunkers si sono inventati in tutti questi anni, per continuare a coprire la bugia iniziale. D: Perché il parallelo con Pearl Harbor? R: Il film è destinato prima di tutto ad un pubblico americano. Sono loro che devono risolvere, a livello psicologico, la questione dell'11 settembre, e finché non lo faranno loro, il problema resterà immutato per il resto del mondo. Ho quindi scelto il parallelo con Pearl Harbor perché per loro questo episodio ha avuto avuto un significato enorme dal punto di vista psicologico. Iniziando il film con i 12 paralleli fra Pearl Harbor e l'11 settembre cerco di mostrare agli americani come gli stessi meccanismi di allora si siano ripetuti nel 2001, sperando che questo possa aiutarli in qualche modo ad accettare una scomoda verità - di allora come di oggi. D: Nonostante la lunghezza del suo film (quasi cinque ore) certi argomenti importanti non sono stati affrontati del tutto: la nano-thermite, il monitoraggio dei terroristi da parte della C.I.A. e dell'FBI, pagine censurate sulle connessioni fra l'Arabia Saudita il Pakistan, piste israeliane, il ricovero di Bin Laden e il suo incontro con la C.I.A. poco prima dell'11 settembre… Perché? È stata semplicemente una questione di spazio, oppure ritiene questi argomenti meno convincenti? R: A parte l'introduzione di tipo storico, il mio film riguarda esclusivamente il dibattito sui fatti dell'11 settembre. Prima di tutto, ritengo importante dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che la versione ufficiale dei fatti di quel giorno sia fondamentalmente falsa. E' perfettamente inutile raccontare che Bin Laden è stato ricoverato d'urgenza a Karachi la sera del 10 settembre, portato direttamente dagli uomini della ISI, quando la gente è ancora convinta che sia stato l'impatto degli aerei a far crollare le Torri Gemelle. La prima informazione non si incastra con la seconda, e rimane sospesa nel nulla, perché il pubblico non sa cosa farsene. "Va bene - dice lo spettatore - Bin Laden avrà avuto un bisogno urgente di farsi una dialisi. Vuol dire che sarà stato qualcun altro a dirigere le operazioni, il giorno seguente." Se prima non gli spieghi che "le operazioni" sono state una bugia colossale, lo spettatore non saprà mai cosa farsene delle informazioni di tipo politico. Prima devi fornirgli una solida tela su cui appoggiare i colori, e poi puoi iniziare a dipingere il quadro definitivo. Proprio per questo motivo io avevo fatto il primo film sul 9/11, Inganno Globale, che riguardava esclusivamente i fatti dell'11 settembre, mentre ho messo insieme tutte le informazioni di tipo storico, politico ed economico che avevo in un secondo film, intitolato "Il nuovo secolo americano". Altrimenti la testa dello spettatore scoppia, le informazioni vanno in conflitto fra di loro, e alla fine scatta il meccanismo del rifiuto complessivo. Per quel che riguarda invece gli elementi relativi agli attacchi veri e propri, come la termite, si tratta di una scelta strategica che riguarda la dinamica del dibattito. Noi dobbiamo solo fare domande, non dobbiano fornire nessuna risposta. Nel momento in cui tu proponi una qualunque "risposta" - per quanto valida - alle questioni dell'11 settembre, il debunker immediatamente ti rovescia addosso l'onere della prova, e poi si mette a guardare. Se tu dici "hanno usato la termite", lui ti dice "dimostralo", e tu dopo cinque minuti ti ritrovi a dover difendere la credibilità di una certa pubblicazione scientifica rispetto ad un'altra, mentre era lui che avrebbe dovuto difendere la versione ufficiale. Non importa che tu abbia ragione o torto, non importa che la tua argomentazione sia valida o meno. Anzi, sappiamo benissimo di avere delle ottime argomentazioni a favore, ma qui non siamo in un tribunale, dove offri le tue prove ad una giuria attenta e (si presume) imparziale. Qui siamo di fronte ad un pubblico generico, poco informato e mentalmente pigro, molto più sensibile alle emozioni che non al rigore della logica. Quello che conta quindi, alla fine della discussione, è che il punto di domanda resterà su quello che hai detto tu, e non su quello che sostiene il debunker. Si tratta di una semplice questione dialettica, nella quale l'onere della prova risulta essere l'elemento decisivo sull'esito del dibattito. Guardate quanto è costata a Meyssan - e a tutto il Movimento, di riflesso - la scelta di aver detto "è stato un missile a colpire il Pentagono". Da quel giorno non c'è stata trasmissione televisiva o documentario al mondo che non ne abbia in qualche modo approfittato, dicendo: "I complottisti sostengono che a colpire il Pentagono sia stato un missile. Ma questo non può essere vero, poiché bla-bla-bla, la distanza dei pali della luce bla-bla-bla, centinaia di testimoni hanno visto un Boeing bla-bla-bla, eccetera eccetera". Di colpo non sono più i debunkers a dover spiegare che cosa abbia colpito il Pentagono, ma siamo noi a dover dimostrare che sia stato un missile (oppure che abbiano usato la termite nelle torri gemelle, oppure che alcuni dei terroristi siano ancora vivi, ecc.) Qualcuno potrà obiettare che io stesso, nel film, ho offerto delle "risposte" al pubblico, ad esempio quando suggerisco che gli aerei fossero in realtà dei droni militari, oppure che i passeggeri siano stati obbligati a fare le telefonate con i cellulari da terra. Ma io lo faccio solo in casi estremi, quando io stesso ho messo lo spettatore in un apparente "stallo logico" con la mia narrazione. Se io gli dico che a) "i presunti dirottatori non erano assolutamente in grado di pilotare gli aerei nel modo in cui sono stati pilotati", e che b) "nessun pilota civile porterebbe mai il proprio aereo a schiantarsi contro un edificio pieno di gente", lo spettatore si trova improvvisamente in uno "stallo logico", e si domanda: "ma allora, chi c'era a pilotare quegli aerei?" A quel punto devo offrirgli almeno una soluzione plausibile, se voglio restare credibile. Ma lo faccio sempre con le dovute cautele, stando ben attento a non affermare mai che quella sia l'unica soluzione possibile. D: Non ha l'impressione che più le argomentazioni del Movimento per la verità diventano solide, e meno riusciamo ad ottenere delle risposte? R: Questa è un'osservazione estremamente acuta ed importante. Purtroppo è proprio così: più le prove diventano convincenti, più i giornalisti scappano da noi. D'altronde, è l'unico percorso disponibile per arrivare prima o poi a diffondere a livello mainstream le informazioni che abbiamo. Dobbiamo quindi passare per forza da loro. Per riuscirci, dobbiamo seguire una strategia molto precisa, da parte di chiunque dovesse mai andare in televisione a parlare di 9/11: non usare mai queste prove per mettere con le spalle al muro i diretti responsabili della trasmissione. Mentre sarebbe stato splendido sentire Kassovitz o Bigard che "inchiodavano" il debunker di turno con una domanda precisa - come quelle che ho indicato sopra - sarebbe stato un errore madornale mettere direttamente in angolo il conduttore della trasmissione, con lo stesso tipo di domanda. Ricordiamoci sempre che la televisione vive di audience, ed è costantemente assetata di nuovi argomenti da presentare al pubblico. Per questo motivo certe testate televisive sono perennemente tentate dal presentare argomenti scottanti ma di sicuro interesse - come ad esempio l'11 settembre - purchè abbiano la garanzia di uscire incolumi dallo scontro, a livello di immagine. Se quindi noi prendiamo un atteggiamento aggressivo verso i giornalisti, e li accusiamo direttamente di voler ignorare certe prove eclatanti, loro continueranno a fuggire sempre di più da noi, per non dover rispondere a questa accusa. Se invece gli offriamo la possibilità, da una parte, di presentare argomentazioni ben documentate e pienamente difendibili, e dall'altra evitiamo di puntare il dito contro di loro, ma lo facciamo contro chi sostiene apertamente la versione ufficiale, prima o poi la tentazione (economica) di mostrare in televisione tesi sempre più solide e convincenti sul 9/11 riuscirà a prevalere sulla loro paura di restarne bruciati a livello di immagine. I "mainstream media" si chiamano così per un motivo preciso: perchè riflettono la posizione del pensiero mainstream, cioè della maggioranza della popolazione, in un determinato momento storico. In realtà, la riflettono e la influenzano insieme. Da una parte i media sanno fino a dove possono andare, senza suscitare reazioni negative nello spettatore, e dall'altra provano a spostare questo limite sempre più avanti, un millimetro alla volta, perchè sanno che quello è il modo migliore per aumentare la propria audience. Come si può vedere, alla fine, tutte le questioni più importanti che ruotano intorno all'11 settembre non hanno direttamente a che fare con l'11 settembre, ma riguardano soprattutto la psicologia umana. Riconoscere che l'11 settembre è stato un inside job significa ammettere che non possiamo più fidarci dei nostri governanti, e mentre per alcuni di noi questa è già una verità acquisita, per la grande maggioranza della gente (per il pensiero mainstream) questo è ancora un problema enorme da affrontare. Bisogna quindi procedere con calma, senza violentare nessuno e senza voler imporre a tutti i costi le nostre tesi agli altri. Il problema non è avere ragione oggi, ma è di arrivare a far avere al grande pubblico le informazioni utili che gli permettano di trarre da solo le proprie conclusioni, quando si sentirà pronto a farlo. Naturalmente, prima questo accadrà meglio sarà per tutti. Per questo motivo ringrazio già da ora tutti quelli che si daranno da fare per far circolare il mio film nel vostro paese. Massimo Mazzucco