Il documento più “bollente” che circola in rete in queste ore è certamente il
“manifesto” del bombarolo-killer norvegese Anders Breivik, l’uomo che avrebbe piazzato la bomba di Oslo e poi massacrato i turisti sull’isola di Utoya.
Centinaia di siti lo stanno analizzando e ripubblicando, anche se molto difficilmente qualcuno lo avrà letto da cima a fondo. Si tratta infatti di un vero e proprio libro dalla lunghezza impressionante (ca. 1500 pagine), perfettamente organizzato e indicizzato, che vuole chiaramente apparire come il “testamento politico” di un uomo che si appresta a compiere una missione senza ritorno.
Ad una prima scorsa – ripeto, è impensabile leggerlo tutto – si ha la netta sensazione di trovarsi di fronte ad un altro “caso Shakespeare”. Non nel senso di genio letterario, ma anzi del suo opposto, ovvero dell’impossibilità di esserlo (molti sanno che il vero Shakespeare era quasi sicuramente un prestanome, poichè non poteva possedere un decimo delle conoscenze che aveva il vero autore delle sue opere).
Per quanto appena trentenne, Breivik tratta con grande dimestichezza argomenti di portata storica assoluta, dal revisionismo storico al femminismo americano, dalla riforma protestante alla filosofia del marxismo, dalla storia delle crociate all’influenza della
sharia nel mondo islamico.
Anche Hitler, da giovane, aveva scritto qualcosa di altrettanto voluminoso … … – mutatis mutandis, ovviamente – ma il futuro leader nazista si trovava in prigione, e non mancava certo di tempo libero, mentre il nostro Breivik negli ultimi anni avrebbe fatto di tutto e di più: leggendo le note autobiografiche, troviamo che Breivik è stato “investitore, direttore, manager e fondatore di diverse società”, ed ha lavorato nei settori di “marketing, vendite e analisi finanziaria” nel corso degli ultimi anni. Lui stesso nel suo diario scrive (pag. 1403) “lavori 9-10 ore al giorno, torni a casa, mangi, fai ginnastica un paio d’ore per tenerti in forma, fai il tuo ciclo normale di abbronzatura, palestra e Botox, e non è che ti rimanga poi molto tempo.”
Certo che no. Anzi, con una routine del genere io schiatterei dopo una settimana.
La seconda cosa che salta all’occhio, leggendo il suo libro, è la assoluta padronanza della lingua inglese. Non solo non c’è il minimo errore nell'uso dei termini e della punteggiatura – la seconda è tutt'altro che facile da imparare, per qualunque straniero – ma la costruzione della frase è chiaramente quella di un madrelingua (ve lo dice chi si cimenta quasi quotidianamente con traduzioni da e per l’inglese, e so bene di cosa parlo).
Talmente naturale, precisa e scorrevole è la prosa, che ho voluto provare a prendere alcune stringhe del testo e fare una ricerca su Google. Ho così scoperto che quasi tutte le frasi più colte e significative sono citazioni prese da altri autori. In realtà Breivik, pur non citando le fonti, riconosce di aver scritto “circa la metà di questo compendio”, ma rimane comunque il gigantesco lavoro di ricerca, analisi, rielaborazione ed organizzazione dei materiali esterni, che avrebbe fatto interamente da solo. Oltre ovviamente alla stesura delle rimanenti 700 pagine (forse il segreto sta tutto nel Botox).
Ma veniamo all’ideologia, che naturalmente è l’argomento centrale del suo libro. Per quanto abbia attinto da mille fonti diverse, e si sia spinto ad analizzare nel dettaglio argomenti storici estremamente complessi, l’intera ideologia del nostro “unabomber” si può riassumere nell’odio profondo che certe persone provano in Europa centrale per il cosiddetto “multikulti”, ovvero il tentativo di integrazione della cultura islamica e di altre culture non-europee nella nostra società (avevamo già
trattato l’argomento in precedenza).
Altri la chiamerebbero, molto più semplicemente, “islamofobia”.
Naturalmente, il “biondo nordico” Breivik, perfetta quintessenza dell’archetipo “ariano”, diventa il candidato ideale per rappresentare questo tipo di fobia, e per rendere quindi credibile il suo gesto contro l’unico paese europeo che ancora abbia la forza di spezzare ogni tanto una lancia in favore dei palestinesi.
Bisogna però riconoscere che questa persona “c’era” davvero, non era uno che “ci faceva” e basta: nessuno infatti si sognerebbe mai di mettere insieme una “compilation” di materiale ideologico così vasta ed approfondita, solo per “costruire” una facciata ideologica al patsy di turno. (Al massimo, quando i ragazzi della CIA mandavano l’antrace ai senatori che chiedevano un’indagine sull’11 settembre, aggiungevano un bigliettino con su scritto “Muori maledetto infedele – Allah è grande”. Tanto, per le masse, questo basta e avanza.)
Qui siamo invece di fronte ad un classico caso di “reclutamento a posteriori” - se non addirittura di indottrinamento completo – di una persona che è effettivamente convinta di quello che scrive.
O che altri hanno scritto per lui.
Ma a questo punto non fa molta differenza: l’unica cosa che nella storia non cambia mai, infatti, è la regolare frequenza con cui un “pazzo isolato” si assume l’onere di risolvere problemi diecimila volte più grandi di lui. Oswald, apparentemente senza volerlo, ha fatto un piacere supremo ai militari, ai banchieri, alla CIA e alla mafia in un colpo solo. Sirhan Sirhan, senza volerlo, ha fatto un piacere immenso chi temeva che Robert Kennedy riaprisse le indagini sull’omicidio di suo fratello. Timothy McVeigh, senza volerlo, ha fatto un piacere immenso a chi temeva le indagini sui fatti di Waco Texas, la cui documentazione si trovava casualmente nel Murray Building di Oklahoma City. Osama bin Laden, sempre senza volerlo, ha fatto un piacere immenso ai petrolieri, ai banchieri e ai guerrafondai di questo secolo. E adesso abbiamo questo unno con la faccia da fotomodello che sta facendo un piacere immenso a tutti coloro che leccano il culo ad Israele.
Avanti il prossimo …
Massimo Mazzucco