di Marco Cedolin
Dopo settimane dense d’incertezza, dichiarazioni, smentite, ipotesi, ambizioni di comando, comandanti ambiziosi e governi recalcitranti, il “grande giorno” sembra davvero essere arrivato.
La prima missione (di guerra? Di pace?) del governo Prodi sta spiegando le vele in direzione del Libano dove dovrebbe giungere nella giornata di venerdì.
Questa notizia, la sommaria composizione della forza militare italiana deputata, almeno inizialmente, a costituire il nostro contributo alla forza d’interposizione che stazionerà in Libano sotto la bandiera dell’ONU e le prime stime dei costi della missione stessa sono in realtà le uniche certezze.
Si tratta di 5 navi con circa 2500 uomini (compresi 1500 marinai che costituiscono gli equipaggi) prevalentemente fanti di Marina del reggimento San Marco, ... ... 120 lagunari dell’esercito e un numero imprecisato di piloti di elicotteri e caccia AV8B con i loro mezzi, il tutto al comando dell’Ammiraglio Giuseppe De Giorni.
Un migliaio di uomini destinati dunque a prendere posizione in terra libanese nell’attesa che entro un paio di mesi possano essere integrati e sostituiti da altri commilitoni fino al raggiungimento delle 3000 unità previste.
La prima ipotesi di costo stimato parla di circa 65 milioni di euro il mese, cioè quasi 800 milioni di euro l’anno, un esborso certo non indifferente per un paese come l’Italia, la cui condizione economica disastrata è fra le peggiori d’Europa, se pensiamo che costituisce quasi la metà della cifra (2 miliardi di euro) che Tremonti nella scorsa finanziaria tagliò a regioni, province e comuni, suscitando polemiche e malcontento.
Concluso il breve elenco delle certezze non possiamo prescindere da quello di tutto ciò che certo non è, anzi in molti casi sembra profondamente restio a diventarlo.
La forza d’interposizione posta sotto la bandiera dell’ONU dovrebbe restare sotto comando francese fino a febbraio 2007 allorquando toccherà all’Italia assumerne le redini. Il numero dei militari partecipanti alla missione è sceso dai 15000 inizialmente previsti a circa 6900 dei quali 2000 francesi, 3000 italiani (quasi la metà dell’intero contingente) ed i restanti da dividersi fra altri paesi europei ed islamici ancora in fase di definizione.
I caschi blu non avranno il compito di disarmare gli Hezbollah ma quello di monitorare la cessazione delle ostilità e coadiuvare i militari libanesi nell’impedire l’ingresso di armi nel paese.
Potranno usare le armi in caso di minaccia o intento ostile (sarebbe stato parossistico immaginare dei soldati che si lascino sparare addosso senza reagire) e dovranno richiamarsi ai dettami della risoluzione 1701.
Anche se Prodi e buona parte degli uomini politici italiani si dicono soddisfatti dalla definizione delle regole d’ingaggio, appare evidente come le vaghe indicazioni contenute nella risoluzione 1701 lascino aperte una serie infinita d’interrogativi e perplessità.
L’Italia pur non trovandosi inizialmente sul ponte di comando mette sul campo quasi la metà dell’intero contingente e per forza di cose si assume in assoluto la maggiore responsabilità in seno ad una missione ad alto rischio che oltretutto non coordina personalmente.
La forza d’interposizione costituita quasi all’80% da soldati italo – francesi sarà in grado d’imporre in maniera equanime il rispetto della tregua anche di fronte a eventuali violazioni da ambo le parti? E nel caso che queste avvengano quale dovrà essere l’atteggiamento dei caschi blu? L’ipotesi di una reazione violenta nei confronti d’Israele sembra aliena anche alla più fervida fantasia, ma nel caso si scelga la semplice “osservazione” lo stesso metro andrà applicato anche nei confronti di Hezbollah e la funzione dei caschi blu si ridurrà a quella di spettatori oltretutto paganti.
A questo riguardo (fermo restando i 3000 soldati italiani il cui numero non è cambiato) sarebbe stata preferibile una forza di 15000 uomini il cui peso sarebbe risultato sicuramente maggiore. Per quale ragione gli altri Paesi, europei e non, si sono guardati bene dal profondersi in un contributo corposo ad una missione che viene spacciata come importante e da tutti condivisa? Paura? Opportunità? Egoismo? Lungimiranza?
I soldati ONU dovranno impedire l’importazione di armi ma la Siria ha già affermato a più riprese di non gradire ingerenze alle sue frontiere e un compito del genere si presenta quanto mai ostico, soprattutto in virtù del fatto che nessuna limitazione al riguardo viene imposta ad Israele.
In maniera analoga i caschi blu dovranno contribuire a creare nel sud del Libano una zona libera da personale armato (Hezbollah) ma non avranno alcun compito di questo genere in territorio israeliano a ridosso del confine.
In sostanza la missione dovrebbe tendere a preservare la sicurezza d’Israele, senza fare altrettanto per la sicurezza della popolazione libanese, stazionando oltretutto in un territorio a larga maggioranza sciita.
I presupposti per delle frizioni con la popolazione locale e con Hezbollah ci sono dunque tutti anche senza tener conto dell’eventualità che qualche soldato (spaventato o su di giri) manifesti la propensione ad avere il “grilletto facile”.
Al tempo stesso permane il timore (a pensar male troppo spesso ci si prende) che Israele possa “usare” la forza d’interposizione come oggetto di qualche attentato da attribuire ad Hezbollah, finalizzato a screditare le milizie sciite in occidente a proprio uso e consumo.
L’ennesima missione (di pace? Di guerra?) si presenta indubbiamente come la più ostica e complicata fra quelle sul tappeto.
In Libano non sarà possibile rinchiudersi dentro ad un fortino in un angolo dimenticato del paese come abbiamo fatto in Iraq, né tanto meno restare all’ombra dei soldati americani come in Afghanistan.
In Libano il rischio per i nostri soldati sarà enormemente maggiore, lo dimostra in maniera inequivocabile la scarsità dei nostri compagni di viaggio. Il fatto che quasi tutti si siano defilati o abbiano assunto posizioni di basso profilo avrebbe dovuto far riflettere tanto il governo quanto l’opposizione.
L’orgoglio e la ricerca della fama purtroppo sono spesso sirene che giocano brutti scherzi (il nostro passato è infarcito di esempi in merito) e anche Romano Prodi non ha saputo trattenersi dal gridare Armiamoci e Partite, sono partiti, forse è giunta l’ora d’iniziare davvero a preoccuparsi.
Marco Cedolin
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