In seguito alla notizia della chiusura del nostro canale Youtube, molti utenti hanno espresso il desiderio di avere una “nostra TV”, dove poter gestire senza troppi patemi d’animo i nostri contenuti. Innanzitutto, bisogna chiarire bene cosa si intende per “TV”, perchè nessuno pensa oggi di arrivare a casa alle 8 di sera e di accendere il 27 pollici per vedere il “TG di luogocomune”, piuttosto che l’ultimo documentario sugli antibiotici di Arcoiris. O forse lo farà, ma solo perchè nel frattempo il 27 pollici sarà diventato il nuovo terminale universale, che ci collega indistintamente alla programmazione via etere come a quella di Internet. La fusione fra il classico televisore e il monitor del computer è infatti ormai alle porte: la prossima generazione di televisori sarà dotata di un sistema operativo interno, che permetterà all’utente di collegarsi direttamente alla rete senza più bisogno del computer. Google offre già il sistema operativo Android, che viene installato su certi modelli della Sony, e permette all’utente di “chattare” in video con altri utenti, o di svolgere ricerche web direttamente dal televisore. In alcune zone della California Verizon offre il package sperimentale FiOS, nel quale lo spettatore può collegarsi direttamente, tramite il televisore, a canali Internet come Youtube o Hulu, oppure ai social networks come Facebook o Twitter. In altre parole, lo schermo TV diventerà presto una specie di “browser” universale dove anche la nonna, con un semplice tocco di mouse, potrà scegliere se vedere il rassicurante Emilio Fede oppure “quei pazzerelloni della libera informazione”. Si apre a questo punto il vero problema, ... ... che è quello dei contenuti. Da una parte infatti abbiamo dei network televisivi che sono in grado di offrire centinaia di ore settimanali di programmazione, mentre dall’altra avremmo uno sparuto gruppo di autori, più o meno determinati e preparati, che potrebbero al massimo mettere insieme un paio d’ore di contenuto decente alla settimana. Ma tutti sappiamo che la quantità non ha mai fatto la qualità. Anzi, proprio per poter affrontare i costi incommensurabili della programmazione TV, tutti i network del mondo si sono ormai ridotti a fare da contenitore agli spot pubblicitari, che grazie a diversi escamotage arrivano a coprire quasi la metà di un’ora televisiva. Negli Stati Uniti è praticamente impossibile vedere 10 minuti di un qualunque programma, senza doversene sorbire altrettanti di pubblicità o di promozioni di altro tipo. Da quel poco che ho pututo vedere ultimamente, anche l’Italia sembra indirizzata in quella direzione. Bisogna però tenere presente che il vero danno della pubblicità non è costituito dalla semplice invasione di tutti gli spazi televisivi disponibili. Se infatti bisognasse sorbirsi dieci minuti di pubblicità, per poi vederne dieci di un documentario come “Cibo Spa”, credo che molti accetterebbero volentieri lo scambio. Il problema è che gli inserzionisti pagano gli spazi pubblicitari in ragione diretta dell’audience (più gente guarda il tuo programma, più soldi puoi chiedere per lo spazio pubblicitario al suo interno). Nasce quindi, da parte dei network, la rincorsa esasperata all’audience, e questo naturalmente non può che trascinare verso il basso il livello della qualità. Tette e culi hanno sempre venduto di più di un qualunque programma intelligente, e probabilmente lo faranno anche nel futuro. Diventa quindi indispensabile aggirare il problema alla radice, invece che cercare di contrastarlo inutilmente. (La Rai ci ha provato, nei primi anni ottanta, a mantenere un minimo livello di qualità, di fronte all’invasione di chiappe targate Berlusconi. Ma dopo un pò ha dovuto arrendersi, e si è presto ritrovata a rincorrere il nuovo arrivato nella spirale verso il basso, alla ricerca dell’”audience a tutti i costi”). Fortunatamente, una futura web-tv non avrebbe questo tipo di problemi, poichè di certo non commetterebbe l’errore di affidarsi agli introiti pubblicitari per sopravvivere. In questo modo infatti verrebbe a mancare la libertà di scelta nei contenuti, unica caratteristica in grado di far preferire i propri programmi a quelli dei network-TV. In altre parole, se mai una web-tv potrà ritagliarsi uno spazio proprio, accanto alla massiccia programmazione dei network, sarà proprio per l’offerta di contenuti sostanzialmente diversi, in quanto liberi da condizionamenti esteriori. Attenzione, però: il fatto che in Internet quasi tutti materiali disponibili siano gratuiti, non significa che non sia costato nulla metterli in rete. Se prendiamo ad esempio Arcoiris.tv, vi troviamo ormai migliaia di ore di documenti interessantissimi, su tutti i temi più importanti del momento. Ma per mettere questo tipo di materiale in rete occorre prima di tutto disporre una banda enorme (che è particolarmente costosa), insieme a svariati server dedicati, e naturalmente al personale che deve gestirli 24 ore su 24. Anche i costi di una qualunque produzione video, per quanto “spartana” possa essere, non possono essere ignorati. Nel migliore dei casi un semplice filmato di mezz’ora, fatto esclusivamente con materiali di archivio, sarà sempre costato il tempo della ricerca e del montaggio a chi lo ha realizzato. E questo senza aver mai acceso nemmeno una telecamera. Diventa quindi indispensabile che l’utente comprenda bene come l’unica fonte per coprire questi costi, senza doversi sottomettere alle regole degli inserzionisti, sia lui stesso. In Colorado esiste, ad esempio, un canale televisivo pubblico (PBS) finanziato integralmente dagli spettatori. Non a caso questa è anche l'unica emittente televisiva negli Stati Uniti che potrà permettersi di mandare in onda "Il Nuovo Secolo Americano” (la cosa è prevista per il 4 dicembre prossimo). Fortunatamente, per sostentare una web-tv non servono gli ingenti capitali necessari a gestire un network vero e proprio. Qui parliamo di cifre infinitamente più ridotte, abbordabili da un qualunque gruppo di utenti che decida di usufruire di quel servizio. (Fra l’altro, ricordiamo che “quelli della TV” fanno quel mestiere per guadagnarci sopra, mentre chiunque mettesse in piedi una web-tv si accontenterebbe – almeno questa è la nostra filosofia - di coprire le spese). Ma il succo della faccenda resta comunque lo stesso: è sempre lo spettatore che deve pagare per i contenuti che vuole vedere: se sceglie tette e culi, li pagherà in forma di pannolini, bibite e detersivi che acquisterà al supermercato (solo i fessi si illudono di essere immuni dagli effetti della pubblicità), se invece vuole la libera informazione, la pagherà sostentandone almeno i costi di produzione. A grandi linee, quindi, la strada sembra essere tracciata, ed è ormai difficile immaginare che non sia questo il futuro che ci attende, almeno a breve termine. Si tratta ora di iniziare a costruire, con pazienza e con determinazione, cercando le giuste alleanze con chiarezza e con onestà, contando prima di tutto sull’appoggio di chi come noi non vede l’ora di liberarsi per sempre dal giogo dell’informazione controllata. Massimo Mazzucco