di Massimiliano Paoli

"L'esistenza di eventuali, quanto non improbabili mandanti occulti, che restano sullo sfondo di questa vicenda, costituisce il principale enigma a cui questo processo non ha dato una convincente ed esaustiva risposta. [...] Appare necessario indagare nelle opportune direzioni per individuare gli eventuali convergenti interessi di chi a quell'epoca era in rapporto reciproco di scambio con i vertici di Cosa nostra e approfondire, se e in che misura, sussista un collegamento tra le indagini di Tangentopoli e la campagna stragista, e, infine, per meglio sviscerare i collegamenti e le reciproche influenze con gli eventi politico-istituzionali che si verificarono in quegli anni".

Estratto dalla motivazione dei giudici della Corte d'assise d'appello di Caltanissetta per il processo inerente alla strage di Capaci.

"Mandanti occulti". Quante volte abbiamo letto o sentito queste due parole apparentemente vaghe, inafferrabili, quasi dietrologiche?

Molte, forse troppe volte.

Troppe perché per lunghi anni, per molte stragi italiane, quelle due parole sono spesso andate a braccetto col termine impunità. Due parole che trasudano verità indicibili. Verità indicibili che si sanciscono sul grande scacchiere della politica internazionale: un'inevitabile partita a scacchi giocata tra stati e lobby sulla pelle di tanti, di troppi. Una partita che ha tolto al nostro paese eccellenze sul fronte morale e professionale, ma soprattutto ha privato esseri umani del calore dei propri cari e viceversa. La più tragica delle banalità.

La nostra storia però di banale ha ben poco.

La nostra storia comincia con le dichiarazioni del vecchio boss di Altofonte (da tempo collaboratore di giustizia) Francesco Di Carlo. L'atmosfera, sul piano internazionale, è quella del riassestamento geopolitico dopo il crollo del muro di Berlino; in Sicilia invece è quella dei veleni, delle missive anonime del famigerato "corvo" di Palermo, del fallito attentato all'Addaura(1) contro Giovanni Falcone, Carla Del Ponte e Claudio Lehmann.

"[...] Di Carlo, nel corso del dibattimento inerente al fallito attentato all'Addaura, ha riferito di aver ricevuto, intorno al 1990, quindi dopo il fallito attentato dell'Addaura, due visite all'interno dell'istituto penitenziario di Full Sutton [situato in Inghilterra], da parte di soggetti appartenenti ai servizi segreti. Di Carlo ha correlato questi colloqui al proposito di eliminazione di Giovanni Falcone. Più in particolare, ha riferito che, nell'istituto penitenziario [...] si è trovato a condividere, dall'86, il regime carcerario con Nezzar Hindawi, soggetto di origine palestinese, che aveva lavorato per i servizi segreti siriani [...]. Nezzar Hindawi era riuscito a procurargli un incontro con soggetti provenienti da Roma, uno dei quali verosimilmente di nazionalità italiana, mentre gli altri tre provenienti da altri Paesi, tutti appartenenti o, comunque, in contatto, secondo quanto riferitogli da Hindawi, con i servizi segreti arabi con ruoli di comando. [...]. Questi appartenenti alle strutture dei servizi segreti, gli hanno richiesto un supporto per un progetto di eliminazione di Giovanni Falcone al quale, in Italia, alcuni personaggi già stavano lavorando. Gli chiesero se poteva fornire loro un'indicazione di individui in grado di agevolare l'esecuzione di un attentato. Francesco Di Carlo, avendo motivi di rancore personale nei confronti di Falcone, che lo «aveva fatto condannare», forniva loro il nominativo di suo cugino Antonino Gioè, il quale, poi, veniva effettivamente contattato. Lo stesso Di Carlo, successivamente, avvertiva Gioè di essere cauto con tali personaggi"(2).

Al riguardo, queste sono le sue rivelazioni:

Mi dissero che in Italia - dichiarerà in seguito ai magistrati - c'era chi lavorava a togliere di mezzo Falcone. E chiedevano un aiuto. Io gli indicai mio cugino Nino Gioè. Poi so che si sono incontrati. Lui [Gioè] mi disse: «Hanno mezza Italia nelle mani, possiamo fare tante cose». Io avevo avuto per amico un generale che comandava i servizi segreti [il piduista del SISMI Giuseppe Santovito] a Roma. [...]. Perciò capivo un po' di servizi e quello che c'era sotto. E allora mio cugino cercavo di guidarlo: «Si, fanno favori, però vedi che al minuto opportuno scaricano, stai attento sempre».

L'unica cosa che potevo dire era questa. Non lo so se poi si era esposto tanto, perché l'ultima volta che l'ho sentito Nino era molto preoccupato.

"Di Carlo ha riferito anche di un secondo incontro, svoltosi a distanza di 4-6 mesi dal primo, una sera intorno alle 20, con quattro personaggi dall'accento americano o inglese, che, mostrando di essere a conoscenza del precedente incontro, lo invitavano a collaborare con la giustizia, chiedendogli informazioni sull'omicidio del banchiere [piduista] Roberto Calvi e minacciandolo di morte. Di Carlo ha aggiunto, inoltre, di aver fatto avere a Salvatore Riina, tramite suo fratello Giulio [...] e [...] Antonino Gioè, una lettera con la quale spiegava quanto era accaduto e di aver avuto, in seguito, nel corso di un colloquio telefonico, assicurazioni da parte di Riina, che lo ha tranquillizzato con la promessa che si sarebbe occupato della situazione e avrebbe risolto il problema"(3).

"Il procuratore [Luca] Tescaroli parlò di «riottosa indisponibilità delle autorità della Gran Bretagna a collaborare per l'espletamento della commissione rogatoria richiesta, tesa a verificare le […] indicazioni [del Di Carlo]»"(4).

Un dato inquietante. Ancora più inquietante se si considerano le ultime dichiarazioni rese sempre da Di Carlo alla corte d’assise di Palermo il 30 gennaio 2014. In questo caso il boss altofontese parla di un terzo incontro che avrebbe preceduto temporalmente gli altri due appena descritti:

“Quando ero agli arresti in Inghilterra, prima dell'attentato all'Addaura, in carcere mi vennero a trovare tre persone. Uno di questi si presentò come Giovanni e mi disse che mi portava i saluti di Mario [Ferraro, agente del Sismi morto in circostanze a dir poco sospette] […]. Mi dissero: «Ci devi fare avere un contatto a Palermo con i corleonesi. A noi ci interessa il ramo politico di certe situazioni». Volevano mandare via Falcone da Palermo perché stava facendo la Dia e la Procura nazionale”(5).

Questa volta però (ed è questo il dato interessante) rispetto agli altri meeting con uomini dei servizi, il collaboratore riesce ad indentificare con sicurezza almeno uno dei partecipanti: è il “superpoliziotto” Arnaldo La Barbera(6).

L'enigma Gioè

Come evidenzia la sopracitata testimonianza, un ruolo centrale nello sviluppo delle trame che vedono protagonista Cosa Nostra (in particolar modo lo zoccolo duro dei cosiddetti corleonesi) e certi settori degli apparati di sicurezza nei primissimi anni novanta, viene ricoperto da Nino Gioè, autorevole esponente della cosca di Altofonte.

Nella "biografia non autorizzata" di Nino si scorge subito un'anomalia: secondo l'ex parà della "Folgore" Fabio Piselli, Gioè era «un ex sottufficiale dei paracadutisti», e quindi «il ministero [della Difesa] lo conosceva bene».

Per molti una dichiarazione del genere risulterà un plateale controsenso mentre invece la presunta contraddizione resta del tutto apparente. Per capire questa logica dobbiamo nuovamente ascoltare le preziose parole del solito Francesco Di Carlo incalzato dal magistrato Nino Di Matteo:

«Voglio precisare – mi scusi Dottor Di Matteo - per noi non sono sbirri i militari dell’esercito […] perché di militari ne abbiamo avuti pure in Cosa Nostra […] ne abbiamo avuti tantissimi fratelli… qualcuno di Cosa Nostra che aveva il fratello colonnello […]. Lo zio di Totò Riina era un maresciallo dell’esercito, fratello di Giacomo Riina, perciò non erano considerati sbirri»(7).

Intervistato dalla giornalista Rita Di Giovacchino per il suo ultimo libro “Stragi”, Di Carlo confermerà la versione di Piselli.

Ma mettiamo momentaneamente da parte questa "suggestiva" pista investigativa e torniamo al boss della "famiglia" di Altofonte ed al suo identikit ufficiale.

*** L'articolo prosegue qui, a pag. 5 del PDF (scaricabile).

*** Di Massimiliano Paoli (m4x) vedi anche "L'affaire Moro: un caso mai risolto".

(Pubblicazione originale: 23 maggio 2013)

Comments  
articolo molto interessante e avvincente che proietta un raggio di luce anche sull'attualità
Molto molto bene fatto è coinvolgente
L'Italia è nel mirino degli anglo-terroristi almeno dal 1820 (ormai sono due secoli) quando i "corsari neri" lord Gladstone e lord Silverston si scrivevano "i napolitani non dovranno più essere capaci di intrapredere, non dovranno risollevarsi economicamente, non dovranno avere più nemmeno gli occhi per piangere".
Ora basta sostituire a "napolitani" la parola "italiani" ed il senso, lo spirito malefico, i metodi della perfida Albione non cambiano: l'Inghilterra (ma anche gli USA) NON sono nostri amici, ci divide un oceano di interessi contrapposti.
E loro non sono mai andati (e continuano a farlo) per il sottile: se non possono comprarti, ti tolgono da mezzo. Per questo li chiamo anche anglo-assassini...
@ Alexfocus
Concordo, e infatti basti vedere chi ha mandato Garibaldi a unire l'Italia è perché.
Dovrebbe far riflettere quanto questa storia sia profondamente legata a poteri gargantueschi (e adesso sono più forti) e allo stesso tempo sono la punta dell'iceberg; giusto per capire quanto possa mai contare la nostra influenza su questi giochi, sia personale sia come popolo. Viene da ridere, perché prenderla seriamente è da fessi, quando manifestano contro la mafia, quando nelle scuole ti insegnano l'uguaglianza e allo stesso tempo ad adorare il sistema piramidale; siamo talmente rincoglioniti dagli inganni della morale che non vediamo semplicemente come stanno i fatti: come se il potere avesse a che fare con la morale e come se la legalità avesse a che fare con i Governi. Il nostro stadio infantile di considerare la realtà, è la forza con cui loro plasmano la realtà.

Falcone e Borsellino, come uomini, mi inginocchio davanti al loro coraggio, come ruolo, non hanno fatto altro che accettare la chimera e perpetuare il gioco. Vale per i magistrati con le palle, come loro, vale per i politici con le palle (che non ci sono), è scientificamente matematico: se sei pericoloso vieni eliminato. Fine della storia. Uguale in politica, se veramente vuoi cambiare le cose, verrai eliminato. Fine della storia. Quindi sappiamo che se sei in Vita, non puoi essere lì per cambiare le cose. In politica, nella magistratura, e in altri posticini.

Poi ci inventiamo le varie giornate della memoria, e piangiamo i morti; a quando la giornata della memoria per ricordare che non vogliamo vedere?
Un altro articolo che andrebbe stampato sui libri di storia,quella vera,un altro tassello nel difficile ma non impossibile mosaico della comprensione di chi realmente siano gli "amici",cosi' tanto amici da desiderare un vero e genuino nemico, per capire e tenere a distanza non solo fisica ma soprattutto culturale e di dignita' i collaborazionisti nostrani che con la scusa del "patriottismo" e "dell'amore"per la liberta',svendono,tradiscono,feriscono e molte volte uccidono i propri cittadini soltanto per soldi e potere,altro che chiacchiere!!
Purtroppo anche l'assassinio di Falcone,della moglie e della sua scorta seguita dalla strage di via d'amelio sono destinate a restare ancora a lungo lettera morta per le istituzioni,le stesse che dovrebbero difenderci da ogni amico/nemico sia interno che esterno,istituzioni che nascondono la verita' tramite le persone che le rappresentano persone che dovrebbero essere processate e condannate per alto tradimento.

IN RED WE TRUST
Grazie.
Bisogna cambiare io titolo in: il penultimo golpe
www.youtube.com/watch?v=jQUltQU8N-0

ascoltate cosa dice dopo il minuto 4:45 ...
Dietro a questa strage terroristica, come anche le altre, ci sono sempre loro.... gli usa-canalgia!
E non lo dico io, lo dicono gli atti processuali.
E' risaputo da tempo che i servizi segreti deviati sono gestiti dallo zio sam dal dopoguerra!
I soliti usa-canaglia.
#10 mabel

Magari fossero solo loro:



IN RED WE TRUST