Undici storici corrispondenti di grandi media lanciano l'allarme sui rischi della narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto: "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin".
"Osservando le televisioni e leggendo i giornali che parlano della guerra in Ucraina ci siamo resi conto che qualcosa non funziona, che qualcosa si sta muovendo piuttosto male". Inizia così l’appello pubblico di undici storici inviati di guerra di grandi media nazionali (Corriere, Rai, Ansa, Tg5, Repubblica, Panorama, Sole 24 Ore), che lanciano l'allarme sui rischi di una narrazione schierata e iper-semplicistica del conflitto nel giornalismo italiano (qui il testo integrale sul quotidiano online Africa ExPress). "Noi la guerra l'abbiamo vista davvero e dal di dentro: siamo stati sotto le bombe, alcuni dei nostri colleghi e amici sono caduti", esordiscono Massimo Alberizzi, Remigio Benni, Toni Capuozzo, Renzo Cianfanelli, Cristiano Laruffa, Alberto Negri, Giovanni Porzio, Amedeo Ricucci, Claudia Svampa, Vanna Vannuccini e Angela Virdò. "Proprio per questo – spiegano – non ci piace come oggi viene rappresentato il conflitto in Ucraina, il primo di vasta portata dell’era web avanzata. Siamo inondati di notizie, ma nella rappresentazione mediatica i belligeranti vengono divisi acriticamente in buoni e cattivi. Anzi buonissimi e cattivissimi", notano i firmatari. "Viene accreditato soltanto un pensiero dominante e chi non la pensa in quel modo viene bollato come amico di Putin e quindi, in qualche modo, di essere corresponsabile dei massacri in Ucraina. Ma non è così. Dobbiamo renderci conto che la guerra muove interessi inconfessabili che si evita di rivelare al grande pubblico. La propaganda ha una sola vittima: il giornalismo".
"L’opinione pubblica spinta verso la corsa al riarmo” – Gli inviati, come ormai d’obbligo, premettono ciò che è persino superfluo: “Qui nessuno sostiene che Vladimir Putin sia un agnellino mansueto. Lui è quello che ha scatenato la guerra e invaso brutalmente l’Ucraina. Lui è quello che ha lanciato missili provocando dolore e morte. Certo. Ma dobbiamo chiederci: è l’unico responsabile? Noi siamo solidali con l’Ucraina e il suo popolo, ma ci domandino perché e come è nata questa guerra. Non possiamo liquidare frettolosamente le motivazioni con una supposta pazzia di Putin“. Mentre, notano, “manca nella maggior parte dei media (soprattutto nei più grandi e diffusi) un’analisi profonda su quello che sta succedendo e, soprattutto, sul perché è successo”. Quegli stessi media che “ci continuano a proporre storie struggenti di dolore e morte che colpiscono in profondità l’opinione pubblica e la preparano a una pericolosissima corsa al riarmo. Per quel che riguarda l’Italia, a un aumento delle spese militari fino a raggiungere il due per cento del Pil. Un investimento di tale portata in costi militari comporterà inevitabilmente una contrazione delle spese destinate al welfare della popolazione. L’emergenza guerra – concludono – sembra ci abbia fatto accantonare i principi della tolleranza che dovrebbero informare le società liberaldemocratiche come le nostre".
Alberizzi: “Non è più informazione, è propaganda” – Parole di assoluto buonsenso, che tuttavia nel clima attuale rischiano fortemente di essere considerate estremiste. “Dato che la penso così, in giro mi danno dell’amico di Putin”, dice al fattoquotidiano.it Massimo Alberizzi, per oltre vent’anni corrispondente del Corriere dall’Africa. “Ma a me non frega nulla di Putin: sono preoccupato da giornalista, perché questa guerra sta distruggendo il giornalismo. Nel 1993 raccontai la battaglia del pastificio di Mogadiscio, in cui tre militari italiani in missione furono uccisi dalle milizie somale: il giorno dopo sono andato a parlare con quei miliziani e mi sono fatto spiegare perché, cosa volevano ottenere. E il Corriere ha pubblicato quell’intervista. Oggi sarebbe impossibile“. La narrazione del conflitto sui media italiani, sostiene si fonda su “informazioni a senso unico fornite da fonti considerate “autorevoli” a prescindere. L’esempio più lampante è l’attacco russo al teatro di Mariupol, in cui la narrazione non verificata di una carneficina ha colpito allo stomaco l’opinione pubblica e indirizzandola verso un sostegno acritico al riarmo. Questa non è più informazione, è propaganda. I fatti sono sommersi da un coro di opinioni e nemmeno chi si informa leggendo più quotidiani al giorno riesce a capirci qualcosa”.
Negri: “Fare spettacolo interessa di più che informare” – “Questa guerra è l’occasione per molti giovani giornalisti di farsi conoscere, e alcuni di loro producono materiali davvero straordinari“, premette invece Alberto Negri, trentennale corrispondente del Sole da Medio Oriente, Africa, Asia e Balcani. “Poi ci sono i commentatori seduti sul sofà, che sentenziano su tutto lo scibile umano e non aiutano a capire nulla, ma confondono solo le acque. Quelli mi fanno un po’ pena. D’altronde la maggior parte dei media è molto più interessata a fare spettacolo che a informare”. La vede così anche Toni Capuozzo, iconico volto del Tg5, già vicedirettore e inviato di guerra – tra l’altro – in Somalia, ex Jugoslavia e Afghanistan: “L’influenza della politica da talk show è stata nefasta”, dice al fattoquotidiano.it. “I talk seguono una logica binaria: o sì o no. Le zone grigie, i dubbi, le sfumature annoiano. Nel raccontare le guerre questa logica è deleteria. Se ci facciamo la domanda banale e brutale “chi ha ragione?”, la risposta è semplice: Putin è l’aggressore, l’Ucraina aggredita. Ma una volta data questa risposta inevitabile servirebbe discutere come si è arrivati fin qui: lì verrebbero fuori altre mille questioni molto meno nette, su cui occorrerebbe esercitare l’intelligenza”.
Capuozzo: “In guerra i dubbi sono preziosi” – “Sembra che sollevare dubbi significhi abbandonare gli ucraini al massacro, essere traditori, vigliacchi o disertori”, argomenta Capuozzo. “Invece è proprio in queste circostanze che i dubbi sono preziosi e l’unanimismo pericolosissimo. Credo che questo modo di trattare il tema derivi innanzitutto dalla non conoscenza di cos’è la guerra: la guerra schizza fango dappertutto e nessuno resta innocente, se non i bambini. E ogni guerra è in sè un crimine, come dimostrano la Bosnia, l’Iraq e l’Afghanistan, rassegne di crimini compiute da tutte le parti”. Certo, ci sono le esigenze mediatiche: “È ovvio che non si può fare un telegiornale soltanto con domande senza risposta. Però c’è un minimo sindacale di onestà dovuta agli spettatori: sapere che in guerra tutti fanno propaganda dalla propria parte, e metterlo in chiaro. In situazioni del genere è difficilissimo attenersi ai fatti, perché i fatti non sono quasi mai univoci. Così ad avere la meglio sono simpatie e interpretazioni ideologiche”. Una tendenza che annulla tutte le sfumature anche nel dibattito politico: “La mia sensazione è che una classe dirigente che sente di avere i mesi contati abbia colto l’occasione di scattare sull’attenti nell’ora fatale, tentando di nascondere la propria inadeguatezza. Sentire la parola “eroismo” in bocca a Draghi è straniante, non c’entra niente con il personaggio”, dice. “Siamo diventati tutti tifosi di una parte o dell’altra, mentre dovremmo essere solo tifosi della pace”.
Fonte TGcom24
mi sorprende invece l'assenza di un coinvolgimento del signorino biondo un pelino autoreferenziale - ok, non è corrispondente di guerra, ma ha dominato la scena da "inizio" conflitto ad oggi.
Chissa' cosa si dicono in privato.
È comunque fantastico, alla luce di questo articolo, seguire i commenti della protesta in Brasile, dove quello che a me sembra un'invasione senza tumulto dei centri decisionali viene descritta come un'attacco terroristico. Usano dei toni da terza guerra mondiale, sono ridicoli nell'esagerazione. Giornalismo sensazionalista penoso all'ennesima potenza
Una battaglia vera comporta che si denunci anche chiaramente chi fa propaganda a senso unico, ed è facile: è sufficiente dire chi sono i proprietari, palesi o occulti, i direttori, le prime firme, ecc. di mainstreams, gruppi editoriali e similaria. Si capirebbe subito che unendo tutti i puntini si forma una stella. A sei punte ovviamente.
la soluzione?
Venite su Luogocomune!
Si tratta di un meccanismo simile a quello che porta una Schiliró, e sulla guerra appunto Orsini ad essere sempre buttati lá, da Giletti, Formiji, Brindisi... L'antisistema (+ o - con virgolette) sa in partenza che il mainstream si autproclama vincitore del dibattito ancor prima di cominciare la puntata, ma accetta ugualmente di partecipare alla pagliacciata.
Le due parti hanno bisogno l'una dell' altra per il proprio tornaconto.
Questa lista puzza troppo di "vedete ? anche lontano dalle elezioni diamo spazio a tutti, anche ai dissidenti! quindi, maledetti odiatori seriali novax e filoputin state zitti e non rompete le balle sui social! Ci state facendo perdere troppi ascolti!"
Hai colto perfettamente lo spirito del mio intervento. Un teatrino che si assicura la durata delle sue rappresentazioni.
Non dico che i dieci giornalisti siano in malafede, ma sicuramente o sono troppo pavidi per una vera battaglia di libertà, oppure non hanno compreso la sottile arte manipolatoria del sistema che ci opprime.
Una manipolazione da spin doctor cui persino un Bergoglio partecipa attivamente quando passa da un "chi sono io per giudicare" alla versione upgrade di ieri: "si giudica per condividere, non per dividere". Come dire che il male (se scoperto) si comprende (e si accetta) e non si combatte e sanziona. Mi pare chiaro che stiamo vivendo nel peggiore dei mondi possibili, dove l'inganno è il dominatore assoluto.
Sto coraggio per il covid non l'hanno avuto
"Netanyahu fa contento Putin, meno Biden: di Ucraina non si parla più.
Il neoministro degli esteri Cohen ha chiamato Lavrov, facendo saltare i nervi ai tradizionali alleati americani."
huffingtonpost.it/.../...
Articolo per abbonati, ma il titolo rende l'idea.
"nessuno dice tante balle come il giornalista mainstrream a valle".
Uno qualunque tra i dieci poteva per dire menzionarlo come esempio di flessibilitá concessa al carrozzone a piú fasi, una caramellina per provare ad addolcire sia l`anti che il sistema.
Poi chiaro, se a Orsini oggi dicessero "alla prossima sparata vagamente pro Putin non metterai piú piede né in Rai né Mediaset né La7" allora vorrei proprio vederlo il cuor di leone...
Siamo diventati tutti antifascisti quando abbiamo iniziato a perdere la guerra.
D.Risi