Riflettendo sulla
tragedia che da circa un secolo investe il Vicino Oriente e, nello
specifico, la Palestina, spesso mi sono chiesto se abbia un senso scrivere ancora un articolo in
merito. Lontani del teatro degli avvenimenti, non si è in grado di fornire informazioni di prima mano, ma a questo pensano egregiamente i
palestinesi stessi e gli attivisti che, da ogni parte del mondo, vanno
a testimoniare che quel popolo, sebbene obliato da quell’autentica
cricca che è la «comunità internazionale»,
non è stato abbandonato
dalle persone alle quali la parola «giustizia» dice ancora
qualcosa[1].
Ma se in Palestina si combatte una vera e propria guerra di liberazione
nazionale, chi sente - a migliaia di chilometri di distanza - che
quella lotta è giusta e sacrosanta non può che impegnarsi
nella
cosiddetta «guerra dell’informazione». Una ‘guerra’,
questa, che
necessita innanzitutto di una strategia adeguata ai mezzi di cui
dispone la parte svantaggiata. I filo-palestinesi, dunque, non avendo
accesso a tv e giornali ad ampia diffusione, ...
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