Il 9 di aprile ricorre l'anniversario del massacro di Deir Yassin, l'operazione militare sionista che nel 1948 ha dato inizio alla pulizia etnica della Palestina.
Non ci voleva un profeta per prevedere che Israele non avrebbe rispettato la tregua, e avrebbe fatto saltare il tavolo, pur di tornare a bombardare Gaza. Mentre infatti la prima fase della tregua era favorevole ai sionisti (poichè mirava a portare a casa il maggior numero possibile degli ostaggi rimasti), era evidente che la seconda fase, che prevede il ritiro dell’esercito isaeliano da Gaza, non sarebbe mai stata implementata.
E così, con una scusa qualunque, ieri sono ripresi i bombardamenti indiscriminati sui civili di Gaza.
Questa è la testimonianza di Al-Nahhas, medico volontario dell’ospedale Al-Ahli: “Neonati, bambini sparsi sul pavimento, sanguinanti dalla testa, sanguinanti dall'addome, feriti alle estremità".
Un gruppo di circa 200 ebrei italiani ha pubblicato una petizione a pagamento su “il Manifesto” e su “Repubblica”, chiedendo che la comunità ebraica italiana metta fine al suo imbarazzante silenzio sui fatti di Gaza. La petizione, nello specifico, chiedeva una netta dissociazione dalla politica di pulizia etnica che sta portando avanti il governo di Netanyahu.
Ma la nostra comunità ebraica non l’ha presa molto bene. Il suo ex presidente, Riccardo Pacifici, ha detto chiaramente che “con quella petizione mi ci pulisco il sedere”. Il figlio di Liliana Segre, Luciano Belli Paci, ha detto che "È sbagliato usare il termine pulizia etnica, ma è ancora più dannoso suddividersi tra ebrei buoni ed ebrei cattivi”.
Per sua comodità, ricordiamo a Belli Paci la definizione di pulizia etnica data dalla Treccani:
L'arroganza etnica degli ebrei - Il dialogo impossibile - La nascita di Israele - Gli ebrei askenaziti - Incontro con Arafat - Stati Uniti succubi di Israele.
Mentre a Washington va in scena, fra Biden e Trump, il teatrino di chi si prende il merito per l’accordo raggiunto in Palestina, a Tel Aviv va in scena l’altra metà della rappresentazione, ovvero il gioco poliziotto buono-poliziotto cattivo fra Netanyahu e Ben-Gvir.
Sul primo teatrino c’è ben poco da dire: è evidente a tutti che la cosiddetta “tregua di Gaza” sia nata in conseguenza dell’avvicendamento Biden-Trump. Biden può vantarsi finché vuole di avere ottenuto lui questo risultato, ma non ha spiegato perché non ci sia mai riuscito nei 15 mesi precedenti. È altrettanto evidente che questa tregua sia stata imposta da Trump, non certo per “motivi umanitari”, ma semplicemente perché nella strategia di Trump c’è un riavvicinamento fra Arabia Saudita e Israele, e questo riavvicinamento non può certo avvenire mentre la devastazione di Gaza è ancora in corso.
di Agata Iacono
Avi Steinberg, scrittore israeliano, ha annunciato di aver formalmente rinunciato alla cittadinanza israeliana.
Spiegando la sua decisione in un articolo, Steinberg ha affermato che la cittadinanza israeliana è stata "sempre uno strumento di genocidio" che ha legittimato l'occupazione dei coloni.
"La cittadinanza israeliana si basa sui peggiori tipi di crimini violenti che conosciamo e su una crescente litania di menzogne destinate a cancellare quei crimini," ha argomentato Avi Steinberg.
L'autore è nato a Gerusalemme da genitori statunitensi e cresciuto in un ambiente ortodosso. Nel 1993 la sua famiglia tornò negli Stati Uniti, prima a Cleveland e poi a Boston, dove suo padre fu direttore all'Università di Harvard.
di Gideon Levy - Haaretz
Cos'altro deve accadere prima che i cittadini israeliani si scrollino di dosso la loro paralizzante apatia? Quali altri orrori devono verificarsi affinché i media nostrani si degnino di svolgere il loro ruolo e di denunciare questi orrori? Cosa potrebbe mai incrinare la narrazione del 7 ottobre in cui si è impantanato Israele, con la sconvolgente convinzione che sulla scia di quell’evento tutto è lecito, e che Israele è l’unica vittima?
In questo momento sembra che nulla possa servire. Nulla infrangerà la cupola di cristallo che Israele ha costruito per sé stesso, per evitare di guardare in faccia la realtà. E la realtà ci sta venendo incontro, accompagnata da prove inconfutabili: Israele sta perpetrando crimini di guerra barbarici a Gaza. Non come eccezione, ma come regola.
Non come anomalia, ma come routine. Non si può più negare questo concetto, anche se Israele ci sta ancora provando. Altri diecimila bambini morti basteranno a sconvolgere questo paese? Altri mille video di morte violenta toccheranno qualcuno? Forse l'esecuzione di mille uomini ammanettati di fronte a un muro? Questo è molto dubbio.
Il governo di Israele ha dichiarato guerra ad Haaretz, il quotidiano di Tel Aviv che da oltre un anno critica apertamente la politica israeliana in Palestina.
Il Ministro delle Comunicazioni, Shlomo Karhi, ha detto che il governo ha approvato all’unanimità la decisione di tagliare tutte le pubblicità e le sovvenzioni ministeriali per Haaretz, e invita tutte le organizzazioni paragovernative a non avere più alcun contatto con Haaretz, e a non offrirgli più materiali di pubblicazione.
La pietra dello scandalo sarebbero state alcune dichiarazioni fatte a Londra dall’editore di Haaretz, Amos Schocken, il quale ha detto che “il governo di Netanyahu impone un regime di crudo apartheid alla popolazione palestinese”, mentre ha definito i guerriglieri palestinesi come “combattenti per la libertà [freedom fighters]”.
Contro Israele, un Moni Ovadia "infuocato" (specialmente i primi 20 minuti).
Leggi tutto: Il massacro di Deir Yassin