Nel dibattito che si sta sviluppando in questi giorni sulla questione palestinese, molti commentatori dimenticano un fatto importante: da oltre 40 anni le Nazioni Unite hanno ufficialmente riconosciuto il diritto dei popoli sotto occupazione straniera di lottare per la liberazione della propria terra con qualunque mezzo, incluso la lotta armata.
E’ la risoluzione 37/43 dell’Assemblea generale dell’Onu adottata nella 90a plenaria del 3 dicembre 1982.
La situazione in Israele è in continua evoluzione, ed è ancora troppo presto per provare a trarre delle conclusioni. Una cosa però sta emergendo dal dibattito in corso: sempre più esperti – soprattutti militari – si domandano come sia stato possibile che una operazione militare così ben organizzata sia completamente sfuggita agli uomini del Mossad. Come è noto infatti, i servizi israeliani hanno decine e decine di infiltrati nella struttura di Hamas. Diventa quindi difficile pensare che l’attacco di oggi - che necessitava di una laboriosa ed accurata preparazione - sia arrivato come una completa sorpresa per Israele.
Forse siamo di fronte al classico caso di LIHOP, la nota formula che significa “Let it happen on purpose”, ovvero lasciare intenzionalmente che qualcosa accada. In modo, ovviamente, da poter poi gestire l’immancabile reazione militare con le mani libere, e con il supporto dell’intera opinione pubblica occidentale.
Da giorni i telegiornali ci mostrano le immagini degli israeliani che protestano contro il governo di Netaniahu, ma nessuno si sforza di spiegarci bene a cosa siano dovute queste proteste. Ci proviamo noi.
La risposta sintetica è che gli israeliani protestano contro la violenta sterzata a destra del proprio governo, dopo che i risultati elettorali hanno obbligato Netaniahu a formare una alleanza innaturale con il partito di estrema destra Otzma Yehudit, guidato dall’estremista ultraconservatore Itamar Ben-Gvir (immaginate un Salvini che prenda steroidi da vent’anni).
Tanto per essere chiari, Ben-Gvir è l’attivista che nel 1995 minacciò di morte il primo ministro israeliano Rabin, che aveva appena firmato gli Accordi di Oslo con i palestinesi. Pochi giorni dopo quelle minacce, Rabin fu effettivamente assassinato da un estremista di destra. Ben-Gvir ha fatto spesso discorsi apertamente razziali contro gli arabi di Israele, è stato più volte arrestato per incitazione all’odio e alla violenza, e sostiene che tutti gli arabi dovrebbero essere cacciati da Israele “eccetto quelli che dichiarino una lealtà incondizionata al nostro paese”. Ovvero, praticamente nessuno.
Una nuova commissione di inchiesta delle Nazioni Unite ha stabilito che “é essenziale mettere fine alla prolungata occupazione e alla discriminazione contro i palestinesi da parte di Israele, per mettere fine al conflitto e fermare il ciclo perpetuo di violenza nella regione”. Ecco alcuni estratti dal comunicato stampa dell’ONU:
GINEVRA (7 giugno 2022) - La continua occupazione da parte di Israele del territorio palestinese e la discriminazione nei confronti dei palestinesi sono le cause principali delle tensioni ricorrenti, dell'instabilità e del protrarsi del conflitto nella regione, secondo il primo rapporto della nuova Commissione d'inchiesta Internazionale Indipendente delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, compresa Gerusalemme est, e Israele, pubblicata oggi.
La Commissione ha anche osservato che l'impunità alimenta un crescente risentimento tra il popolo palestinese. Ha identificato lo sfollamento forzato, le minacce di sfollamento forzato, le demolizioni, la costruzione e l'espansione degli insediamenti, la violenza dei coloni e il blocco di Gaza come fattori che contribuiscono ai cicli ricorrenti di violenza.
Breve riscostruzione della storia della Palestina dal 1948 ad oggi.
Nel giorno in cui politici e giornalisti fanno a gara per onorare il “giorno della memoria”, nessuno di loro si ricorda che lo sterminio degli ebrei da parte del nazismo non è stato certo l’unico olocausto nella storia del secolo scorso.
Anche i palestinesi hanno avuto la loro tragedia, proprio negli anni che hanno seguito la fine della guerra mondiale e l’instaurazione dello stato di Israele in terra di Palestina. Loro la chiamano Naqba (o Nakba), che significa “catastrofe”, o “cataclisma”. Si tratta della devastante operazione di pulizia etnica operata dalle milizie sioniste (Haganà) a danno dei palestinesi, fra il 1947 e il 1949, nel territorio dell’attuale Israele. Come risultato di questa operazione circa l’80% degli arabi che abitavano in quella zona furono o uccisi o costretti a fuggire negli stati confinanti, terrorizzati dalle stragi compiute dai sionisti. 500 villaggi palestinesi furono distrutti e rasi al suolo, e l’intera infrastuttura civile palestinese fu demolita. Ancora oggi al questione del “ritorno a casa” dei rifugiati palestinesi costituisce il maggiore ostacolo nel percorso di pacificazione con Israele.
Per ricordare la Naqba ripubblichiamo un nostro articolo del 2008, nel quale l’autore recensiva il libro di Ilan Pappe “La pulizia etnica della Palestina”.
Ho appena assistito ad uno spettacolo metafisico. In diretta sulla CNN, il presidente americano Trump ha annunciato al mondo il suo nuovo piano di pace per la Palestina. Dico “metafisico” perché non mi era mai capitato di assistere ad un annuncio di tale importanza, che prevede un accordo definitivo e duraturo fra Israele e Palestina, con la sola presenza di uno dei due interessati.
Accanto a Trump infatti c’era Benjamin Netanyahu, ma non c’era nessuno a rappresentare i palestinesi.
La sceneggiata è andata avanti a lungo, con Trump che faceva i complimenti a Netanyahu, il quale lo applaudiva. Poi toccava a Netanyahu parlare, ed era Trump ad applaudirlo. E poi ciascuno ringraziava i propri ambasciatori, come se avessero portato a casa l’impresa del secolo. Sembrava quasi una cerimonia degli Oscar, nella quale i vincitori recitano la lunga litania di ringraziamenti alle mogli, ai produttori, ai parrucchieri, e a tutti quelli che li hanno aiutati a raggiungere quel traguardo.
La rete non perdona. Proprio nel momento di massima tensione fra Gaza e Israele, l'esercito israeliano (IDF) ha provato a fare un pò di propaganda anti-palestinese sui social, ma il "rinculo" del colpo sparato gli è arrivato dritto nello stomaco. Questo è il tweet dell'IDF, che mostra un gruppo di bambini palestinesi che mimano un addestramento militare, accompagnato dal commento: "Mentre i bambini israeliani cercano riparo dai razzi che arrivano da Gaza, questi bambini di Gaza si sono diplomati all'asilo. Hamas sta derubando i bambini di Gaza dal proprio futuro, e cerca di derubare i bambini di Israele dal loro. Noi non lo permetteremo. Nessuna nazione lo permetterebbe."
Dopo i bombardamenti di quelli che Israele definisce "postazioni iraniane in Siria", l'esercito israeliano (IDF) ha cercato di spostare la battaglia a livello mediatico, pubblicando sul proprio profilo di twitter una cartina geografica della zona, nella quale ha indicato con delle frecce rosse "dove si trova l'Iran" ("where Iran is") e "dove dovrebbe stare l'Iran" ("where Iran belongs").
Ma il popolo di Twitter non si è lasciato sfuggire la ghiotta occasione, ed ha prontamente replicato con un'altra cartina, che ha finito per ritorcersi contro la maldestra propaganda israeliana.
(In occasione dell'anniversario della Nakba ripubblichiamo questo articolo del 2009)
C'era una volta una bella penisola, fatta a forma di stivale, che si allungava ridente nel più bel mare del mondo, il Mediterraneo.
La penisola era popolata di pastori, agricoltori e commercianti, quasi tutti ex-beduini in via di urbanizzazione. Non particolarmente colti magari, erano certamente un popolo di gente allegra e calorosa.
Parlavano l’arabo antico, una lingua molto ostica per gli altri popoli, che si adattave invece alla perfezione per loro espressioni gutturali. Vivevano in grande armonia, scambiandosi prodotti agricoli e commerciando da una regione all'altra, in un perfetto equilibrio naturale, risultato di una tradizione millenaria.
Accadde che in posto lontano ebbe luogo una terribile guerra, alla fine della quale furono scoperti dei campi di concentramento, nei quali erano stati sterminati alcuni milioni di esseri umani (sul conto preciso c’è ancora qualche discordanza, ma erano comunque tantissimi, e la cosa non fu bella da vedere).
Questi esseri umani appartenevano ad una tribù particolare, chiamata “austriaci”, derivata dal ceppo dolomitico - quello di Abrahmberger, Isakson a Giacobinovich - e aveva avuto origine proprio nel nord della penisola italica, nella zona compresa fra il Veneto e l’attuale Germania. Questa tribù prendeva il nome dal monte di Astrion, dove il loro Dio gli si era rivelato, che si trova appunto nelle Dolomiti Orientali. Come simbolo sacro gli austriaci usavano la stella alpina, il noto fiore a sei punte che cresce solo in alta montagna. Nelle cerimonie usavano un candelabro a diciotto braccia, più una retrattile, che durante la settimana serviva per appenderci la scodellina di felpa, con la piuma infilata nel mezzo, man mano che i numerosi familiari rientravano dal lavoro.
Nel corso dei secoli però questa tribù era andata disperdendosi nel mondo, per motivi che nessuno è mai riuscito a comprendere fino in fondo.
E' giusto che esista il "Giorno della Memoria", per non dimenticare. Ed è giusto che in una giornata come questa vengano ricordate le vittime e i prigionieri di tutti i lager, non solo di quelli nazisti.
Video di Luca Chiesi
LA TRAPPOLA PER TOPI
Immaginate di rinchiudere qualche centinaio di topi in un campo di bocce, che avete provveduto a recintare con alte pareti di legno, per tre lati su quattro. Il quarto lato – uno di quelli lunghi – non ha bisogno di pareti, poichè subito accanto alla sabbia c’è l’acqua di uno stagno: in quella direzione i topi non potranno andare.
Gettate nel campo un pò di cibo, che sia sufficiente a tenerli in vita, ma non a sfamarli tutti. Quando il nervosismo per la fame cresce, e la ricerca di cibo diventa più spasmodica, infilate un dito in uno dei tanti forellini che avete praticato sulle pareti di legno, e aspettate che i topi ve lo morsichino. A quel punto urlate di dolore, prendete lo schioppo e ne fate fuori una decina.
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