Quella che vedete nell’immagine non è la rampa di lancio di un missile con testate atomiche, ma la struttura esterna di un pozzo di trivellazione di gas naturale nell’Isola di Sakhalin, nell’estrema Russia orientale. Quello che 50 anni fa era la potenza atomica, oggi lo sta diventando il possesso e il controllo delle risorse energetiche.
Una volta individuati tutti i maggiori giacimenti di petrolio, che rendono i paesi del Golfo Persico e il Venezuela le regine indiscusse del mercato, si sta delineando una nuova mappa degli equilibri mondiali, determinata dalle nuove sorgenti di gas naturale e dai percorsi dei gasdotti che collegano queste sorgenti ai porti di destinazione.
E di ieri la notizia del ricatto, sfacciato e plateale, della Bielorussia da parte della Russia, che ha obbligato la sua ex-provincia a pagare per intero i conti arretrati del gas - 460 milioni di dollari in contanti - a rischio di vedersi chiudere i rubinetti con l’inverno in arrivo.
Insieme alla Bielorussia, anche Georgia e Ucraina accusano i russi di praticare prezzi da strozzinaggio, ma Mosca risponde che quelli sono i prezzi di mercato, e che è semplicemente finita la manna del sussidio centralizzato dei tempi dell’Unione Sovietica. Come dire, “avete voluto giocare a fare gli occidentali? Ora pagatene le conseguenze, e adeguatevi alle dure leggi di mercato”.
Ma il vero perno dei nuovi equilibri mondiali si è spostato da qualche tempo in Estremo Oriente. Con Giappone e Corea che consumano quasi il 50% del gas naturale nel mondo, e con la Cina che li segue da vicino, la battaglia per portare il gas a quei paesi è ormai a tutto campo, ...
Purtroppo torno dal funerale di un mio amico di infanzia, che ha vissuto di fronte a casa mia per lunghi anni, e ora si trova nella lunghissima lista di quelle che vengono chiamate “morti bianche”.
Certo, il magistrato sta indagando, certo, l'azienda pagherà legalmente ed economicamente, se verranno riscontrate irregolarità.
Certo, a me potrà passare fra un qualche giorno, e non sarà più un pensiero fisso. Ma Simone ci ha lasciato, ci ha lasciato perchè era un precario, perchè aveva bisogno di quel lavoro. Simone era un lavoratore, non si sarebbe mai tirato indietro da una qualunque mansione.
Simone aveva appena compiuto 29 anni.
Per mettersi in buona luce ha voluto forse strafare, e ora è in una bara. Perchè qui, nel Sulcis Iglesiente, il lavoro non è un diritto, ma un terno al lotto. Perchè qui quattro mesi di assunzione sono una manna dal cielo, perchè qui a nessuno importa se oltre il 50% dei giovani è disoccupato, perchè i nostri politici si gingillano e si interrogano se Cesare Previti debba lasciare il Senato, perchè i nostri politici avanzano proposte di legge sulla legittimità di avere in Quirinale il gelato nella bouvette.
Perchè un ragazzo deve rischiare la vita per mille euro al mese quando i mafiosi, i delinquenti, i porci drogati e puttanieri siedono nelle sale che contano?
Perchè, mi domando io? Simone è vittima di un sistema malato, ...
Ha perfettamente ragione Elton John a sostenere che bisogna chiudere Internet. “La gente non socializza più”, e soprattutto, “non c’è più l’arte di una volta”. Tutto questo è davvero insopportabile.
Vi ricordate, solo otto o dieci anni fa, quando arrivavamo a casa stravolti dal lavoro, e mangiavamo qualcosa in fretta e furia, pur di poterci riversare subito in strada tutti a socializzare? Ah, quei bagni di folla, ah quelle lunghissime ore in strada a discutere di tutto, a parlare di noi e a chiedere degli altri, a informarsi, a voler sapere, a voler raccontare... dove è finito tutto ciò?
Io ricordo ancora, prima di Internet, le ore che non passavano mai, la domenica mattina, quando sapevo che avrei avuto una intera giornata libera per socializzare: contavo i minuti, nel mio letto, facendo e rifacendo accuratamente il programma della giornata, per non sprecarne un solo minuto: per prima cosa, una bella discussione al bar, davanti alla brioche e al cappuccio fumante. Speriamo che oggi si parli di nanotecnologie - pensavo - tema che mi affascina moltissimo. Poi direi di fare una bella camminata fino al quartiere vicino, tanto per vedere di allargare un pò le mie conoscenze: non è bene fossilizzarsi con le stesse persone, meglio sempre rimettersi in discussione. Poi sicuramente vado a Messa, dove l’ultima volta con Don Giulio abbiamo discusso di evoluzionismo e Intelligent Design, e poi tutti insieme siamo andati alla vicina moschea, per uno scambio interfede con gli amici musulmani.
Poi ovviamente, clou dei clou, il bagno di folla assoluto, la socializzazione ultima, la realizzazione stessa del mio essere concittadino: la partita allo stadio. Mentre ventidue imbecilli in mutande corrono dietro a un pallone, noi sulle tribune ci scambiamo idee sulla geopolitica, sull’antropogenesi ...
Che significato può avere, di fronte al mondo, un processo supportato dalle Nazioni Unite contro un certo signor Kang Kek Ieu, di nazionalità cambogiana, per una “violazione dei diritti umani” avvenuta oltre 30 anni fa?
Kang Kek Ieu, meglio conosciuto come Duch, era un esponente di medio livello del gruppo di guerriglieri che presero il potere in Cambogia nel 1975, i “famigerati” Khmer Rossi, capeggiati dall’altrettanto famigerato Pol Pot. E’ stato il film “The killing fields” a raccontare al mondo la ferocia di questi guerriglieri, che sono accusati di aver massacrato due milioni di civili cambogiani – per la maggior parte intellettuali e borghesi delle grandi città – nel tentativo di instaurare una forma di “socialismo agricolo” in Cambogia.
Ma nel frattempo Pol Pot è morto, gli altri leader Khmer sono scomparsi nel nulla, e per portare alla sbarra Duch, che era il direttore di una prigione in cui sarebbero stati detenuti e torturati 17.000 civili cambogiani, ci sono voluti oltre sette anni.
Ora Duch è stato incriminato, e finirà probabilmente per pagare con una condanna esemplare per crimini che sicuramente ha commesso, ma la cui origine è da ricercare – come al solito - molto più in alto.
Gli Khmer infatti erano una creazione della Cina di Mao, che stava cercando di bilanciare il successo dei russi in Indocina, ...
Nella guerra in cui i ”contractors” – significa “imprese private”, ma si legge “mercenari”- hanno ormai sostituito i soldati regolari, non c’è più spazio nemmeno per la solidarietà fra commilitoni.
La dura legge del profitto offre paghe stratosferiche, ma il rischio è assoluto: mors tua, vita mea.
Questo è il video girato dall’interno di un camion che fa parte di un convoglio che subisce un agguato nell’attraversamento di un paesino iracheno.
Il forte accento del Sud dell’operatore – che è solo nel suo camion, senza nemmeno una pistola - non aiuta a capire cosa stia dicendo. La traduzione di alcune battute è ”a senso", altre sono incomprensibili del tutto.
Un recente articolo di Marco Ventura su La Stampa, intitolato “Alt ai negazionisti”, sta scatenando un piccolo temporale estivo attorno al caso Moffa e alla querelle sul negazionismo in genere.
Forse impaziente di andare in ferie, Ventura ha pensato bene di fare di ogni erba un fascio, collegando molto disinvoltamente chi critica la versione ufficiale dell’undici settembre ad un generico “negazionismo,” che egli collega altrettanto disinvoltamente al cosiddetto “antisemitismo”. Che Aristotele lo perdoni.
Il pezzo di Ventura, come ogni altro esempio di giornalismo dozzinale, andrebbe elegantemente ignorato, non fosse per le leggi vigenti, che trasformano le sue affermazioni in accuse di reato vero e proprio, e rendono quindi a loro volta ipotizzabile un reato di calunnia da parte sua.
E’ il caso del sottoscritto, che viene citato con nome e cognome nell’articolo, insieme a questo sito e agli amici di Faremondo:
“La galassia negazionista spazia dal marxismo filopalestinese antimperialista dell'africanista Moffa al marxismo bordighista di Cesare Saletta, dal leninismo dei seguaci del generale Pasti ai «giuristi democratici» castristi di Carbonelli, dal radicalismo pacifista della rivista Giano di Luigi Cortesi ai siti filo-iraniani come www.vho.org e al revisionismo dell'11 Settembre che lo attribuisce a una congiura di sionisti e Cia. È il caso del fotografo e regista Massimo Mazzucco animatore da Los Angeles di luogocomune.net, ma anche del gruppo Faremondo di Bologna e della piemontese non profit Scholè futuro per l'educazione alla «sostenibilità sociale e ambientale», ...
Nel mondo post-2001 accade un fatto strano: certe notizie fanno clamore, ma la loro smentita passa regolarmente nel più totale silenzio mediatico.
Se il Corriere aprisse un giorno a nove colonne, titolando: “Scalatore italiano conquista l’Everest in mutande”, e poi la cosa risultasse non vera, la sua smentita, e le conseguenze che essa comporta, avrebbero come minimo la stessa eco della notizia originale.
Invece ogni volta che qualcuno “collegato ad Al-Queda” viene arrestato, perchè magari progettava di buttare giù il Duomo di Milano con un tubetto di fondotinta mescolato alla Coca-Cola, il tam tam mediatico esplode assordante, ma se poi si scopre che in realtà era solo suo cugino ad aver incontrato in tram il cognato del portinaio del sosia di Al-Zawahiri – e che lui di colpe non ne aveva proprio - la cosa non interessa più a nessuno.
Ieri ad esempio l’Australia ha dovuto liberare il dottore indiano accusato di complicità nei falliti attacchi terroristici di Londra e Glasgow, perchè non aveva uno straccio di prova per sostenere l’accusa. Ma il fatto dei dottori “musulmani” implicati nei falliti attentati di Londra se lo ricordano tutti, mentre questa notizia oggi riesce a trovarla soltanto chi la cerca col lanternino.
E così Al-Queda continua a vivere, nell’immaginario collettivo, nonostante in realtà sia una bufala dalla trasparenza ormai plateale.
I nostri giornalisti diventano in questo modo doppiamente complici di questo “terrorismo sintetico” che cerca in tutti i modi di tenere in scacco il mondo: prima nel passare notizie che non stanno nè in cielo nè in terra, senza porsi il minimo dubbio, e poi nel dimenticarsi di sottolineare la loro smentita – dicendo magari “Eh, cacchio, mi pareva strano!” - ogni volta che questa avvenga.
E allora facciamolo noi, il loro lavoro: vogliamo provare, collettivamente, a buttare giù una lista di “arresti clamorosi”, ...
Con questa intuizione folgorante, “il mezzo è il messaggio”, Marshall McLuhan aveva catturato, più di 40 anni fa, la quintessenza del nascente mondo della comunicazione globale.
Un mondo, che noi ben conosciamo, nel quale una realtà parallela ci osserva e si fa osservare dallo schermo televisivo, con una tale persistenza e capacità di penetrazione da apparirci spesso più reale del mondo reale.
Naturalmente, la macchina televisiva ha continuamente bisogno di inventare storie da gettare nel grande tritacarne del telegiornale permanente. E così ieri a Phoenix, nell’ennesimo tentativo di costruire una notizia che di per sè non esisteva, due elicotteri della televisione si sono scontrati in aria, diventando notizia loro stessi.
Quella di seguire in diretta, dall’elicottero, una qualunque fuga da un qualunque negozio di un qualunqre rapinatore di caramelle, è diventata una moda sin dal giorno in cui O.J. Simpson fuggì sulla sua Bronco bianca, per non essere arrestato dopo l’omicidio della ex-moglie, di cui si scoprì poi essere il colpevole. Fu soprannominato lo “slow-motion chase”, “l’inseguimento al rallentatore”, perchè i poliziotti avevano l’ordine assoluto di non sparare, ...
Un recente thread ha messo in evidenza un fenomeno che già da tempo si manifestava su luogocomune, e che io ritengo meriti una seria riflessione da parte di tutti coloro che partecipano ai commenti. Chiamiamolo, per comodità di termini, “cristallizzazione delle idee”.
Altri lo chiamano dogmatismo.
Sempre più spesso si manifesta, specialmente negli utenti più anziani (per data di iscrizione, intendo), una forma di insofferenza verso gli argomenti “di grande respiro” che tornano, ciclicamente, nelle nostre discussioni. Non si può nominare Dio, senza che arrivi il “solito ateo” a stampigliare il thread in grassetto con le parole “Dio non esiste”. Non si può parlare di ciclo produzione-consumo, senza che arrivi il solito “economista” a spiegarci che è lo stato l’origine di tutti i mali. Non si può parlare di Satana, inteso come simbolo allegorico, senza che arrivi la solita orda di castigatori che vede la Massoneria nascosta persino fra le lenzuola del proprio letto. Non si può parlare di elezioni, senza che arrivi il solito “anarchico” a dire “coglioni tutti voi che avete votato”. Non si può parlare di “noi italiani”, senza che arrivi il solito “apolide” a ricordarci che lui non c’entra, che lui è più furbo degli altri, che lui vive in un eremo e non “nella comunità”, anche se alla fine prende il tram come tutti noi. Non si può nominare la medicina alternativa, senza che arrivi il solito “scientifico” a dirci che “l’omeopatia non funziona e basta”.
Ma il vero problema, in tutto questo, è che il riferimento a Dio non stava affatto in un articolo che parlava dell’esistenza di Dio, ma dello status mentale degli americani di oggi. Il riferimento al ciclo produzione-consumo non stava affatto in un articolo...
In una sconosciuta cittadina del Massachussets si sono riuniti 80 teologi, laici e preti di almeno 5 diverse denominazioni evangeliche, per trovare una risposta alla più antica domanda che ogni credente si pone di fronte alle umane tragedie: se Dio esiste, perchè il Male?
La loro ricerca è dettata dalla necessità di trovare a loro volta un rimedio al progressivo spopolarsi delle chiese, dovuto alla assoluta incapacità di queste ultime di offrire un conforto spirituale a chi si rivolge a loro sconcertato dai più recenti accadimenti mondiali.
Tragedie come quelle dell’undici settembre, o i massacri nelle scuole come Columbine e Virginia Tech, rappresentano per l’americano medio dei veri e propri traumi emotivi, per i quali non trova parametri di riferimento, e di cui fatica quindi a capacitarsi anche dopo lunghissimi mesi di tormento.
Non a caso la sera dell’undici settembre Bush disse – o meglio, qualcuno gli mise in bocca – “from tonight we are a nation awaken to danger”, da stasera siamo una nazione risvegliata al pericolo.
In quel “risvegliata” sta il cuore del problema. Il vero dilemma degli americani sta infatti nel doversi rendere conto ...
Che cosa possono avere in comune un oscuro medico palestinese, una elegante signora francese, un colonnello arabo un po’ incartapecorito, cinque anonime infermiere bulgare, e un ex-ministro degli esteri austriaco che dal cognome sembra un incrocio fra un cioccolatino e una merenda per bambini?
Sembrano i personaggi di una dozzinale novella di spionaggio, scelti apposta per non c’entrare nulla l’uno con l’altro, e dare così quell’aria di “intrigo internazionale” a storie che solitamente si reggono in piedi, appunto, solo nei libri di spionaggio.
Invece le persone sono tutte vere, e il palcoscenico è quello delle prime pagine europee di ieri.
Già l’antefatto era poco chiaro: otto anni fa, il medico palestinese e le infermiere bulgare vengono accusati della Libia di avere iniettato sangue infetto da virus HIV a oltre 400 bambini. I sei, che si trovano in Libia, vengono arrestati, processati, e condannati a morte, pena che verrà poi commutata nell’ergastolo. Si fa un po’ di baccano in tutta Europa, qualcuno si domanda perché mai delle infermiere bulgare ...
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