Donald Trump è strepitoso. Con la leggerezza che lo contraddistingue, ieri ha messo in dubbio addirittura l'automatismo del sistema di difesa della NATO, voluto storicamente dagli stessi Stati Uniti. Alla domanda del New York Times su come si sarebbe comportato nel caso di una richiesta di intervento militare da parte di un'altra nazione NATO, Trump ha candidamente risposto: "Dipende da come loro si sono comportati con noi. Se hanno rispettato i loro obblighi verso di noi, allora si, potremmo intervenire".
In altre parole, Donald Trump ha messo gli accordi NATO sullo stesso piano di un qualunque contratto di lavoro: se tu rispetti gli impegni che hai preso con me, allora io rispetterò quelli che ho preso con te. Altrimenti, sono affari tuoi.
La reazione del segretario generale della NATO, Stoltenberg, non si è fatta aspettare: "La solidarietà fra le nazioni partecipanti - ha detto - è un punto centrale per la NATO". Ma Donald Trump da questo orecchio sembra non sentirci. Per lui contano solo gli interessi americani, e l'unico punto di vista che conta è il punto di vista americano. Esattamente come per i suoi business Trump dice "se qualcosa mi conviene la faccio, altrimenti no". E il bello è che se una cosa gli conviene o meno, lo decide soltanto lui.
Per ora i sondaggi danno ancora un leggero vantaggio per Hillary Clinton, ma molte cose possono cambiare da oggi a novembre, e di certo nessuno se la sente di escludere che alla Casa Bianca possa andarci davvero Trump.
Altri tre poliziotti sono stati uccisi oggi a Baton Rouge, in Louisiana. Non è chiaro se i poliziotti siano giunti sul luogo perché stavano intervenendo su un episodio già avvenuto, o se siano stati invece attratti intenzionalmente, in una vera e propria imboscata. Ma la natura dell'evento sembra chiara: Baton Rouge è la stessa città dove una decina di giorni fa venne ucciso Alton Sterling, il nero che fu ammazzato a sangue freddo da due poliziotti che lo stavano arrestando. E quindi altamente improbabile che si tratti di una coincidenza, e di fatto questa nuova uccisione di poliziotti sembra essere il prolungamento di quanto è avvenuto a Dallas una decina di giorni fa: una vendetta programmata, contro la "polizia assassina", per vendicare le troppe uccisioni ingiustificate - e mai punite - di cittadini neri da parte di poliziotti bianchi.
Ma l'importanza di questo secondo assassinio di poliziotti è enorme: mentre gli americani speravano, in cuor proprio, che quello di Dallas sarebbe rimasto un caso isolato, il nuovo episodio di Baton Rouge significa che siamo di fronte ad una potenziale serialità, e questo non potrà che tradursi in un enorme aumento della tensione sociale in ogni città americana, dalle grandi metropoli alle piccole cittadine di provincia.
Da oggi infatti ogni poliziotto americano sa che se viene chiamato per intervenire sul luogo di una normale rapina, potrebbe in realtà trattarsi di una trappola tesa contro lui stesso e i suoi colleghi. E in una società dove il grilletto facile è una delle caratteristiche più tradizionali, questo non potrà che portare ad altri episodi violenti, nell'arco delle prossime settimane.
La nazione dell'Uruguay, che ha un PIL di 50 miliardi di dollari all'anno, ha affrontato in tribunale una multinazionale del tabacco, che incassa 80 miliardi di dollari all'anno, e ha vinto.
La causa riguardava ciò che deve apparire sulle scatole di sigarette: sette anni fa l'Uruguay aveva approvato una legge che stabiliva che gli "avvisi grafici" sulla pericolosità del fumo (messaggi scritti e immagini correlate) dovessero coprire almeno l'80% della superficie del pacchetto.
La Philip Morris aveva contestato questa legge, e aveva minacciato di distruggere economicamente l'Uruguay - con una causa multimilardaria - se questi non avessero cambiato la legge vigente.
Ma l'Uruguay ha tenuto duro, e venerdì scorso il tribunale internazionale gli ha dato ragione, obbligando la Philip Morris a pagare anche tutte le spese processuali. La vittoria legale dell'Uruguay è stata possibile grazie anche al supporto dell'ex-sindaco di New York, Bloomberg, che si era impegnato a contribuire ai costi legali della piccola nazione sudamericana.
Quello che è successo la notte scorsa a Dallas credo non abbia precedenti nella storia americana: cinque poliziotti sono stati uccisi in un vero e proprio agguato, durante una manifestazione per protestare contro l'uccisione di due neri, da parte di (altri) poliziotti, avvenuta ieri (in altre città).
Diversi commentatori americani definiscono questo epilogo come "inevitabile": era infatti diventata troppo lunga la lista di uccisioni di cittadini neri da parte di poliziotti bianchi, spesso ingiustificate, per non pensare ad una reazione di questo tipo. Anche perchè i poliziotti assassini vengono regolarmente assolti da un sistema giudiziario che tende sistematicamente a proteggerli, giustificando le loro azioni come "legittima difesa".
Naturalmente, i poliziotti uccisi questa notte a Dallas non c'entrano nulla con gli omicidi dei neri avvenuti ieri in altre città, ma ormai il sentimento di odio dei neri verso "la polizia" in generale è dilagato in tutto il paese.
Immaginate se Carlo Sibilia - o un qualunque altro deputato 5 Stelle - avesse dichiarato che lui parla regolarmente "con i dirigenti di altri pianeti". Si sarebbe scatenato il finimondo, gli avrebbero dato dell'ubriacone e avrebbero chiesto subito le sue dimissioni da parlamentare.
Se invece una cosa del genere la dice Jean-Claude Juncker, il presidente della Commissione europea, allora non succede niente.
Chi, come me, è andato a dormire verso mezzanotte, si è addormentato convinto che la Gran Bretagna fosse rimasta nell'Europa. Invece nel corso della notte c'è stato il capovolgimento dei dati.
E questo è avvenuto nonostante la violenta battuta d'arresto subita dalla campagna del sì dopo l'omicidio di Jo Cox.
Mentre infatti nessuno potrà mai affermare che l'omicidio della parlamentare Jo Cox sia stato commissionato da chi voleva evitare l'uscita della Gran Bretagna dall'Europa, nessuno potrà mai nemmeno negare che questo episodio abbia influito in maniera sostanziale sull'andamento dei sondaggi. Fino al giorno prima del suo assassinio, infatti, i sondaggi davano il sì per la Brexit in costante aumento. Partiti da un rassicurante 65-35 per il no, le percentuali fra sì e no erano ormai arrivate alla pari. Deve essere stato un momento terrificante, per coloro che temono la futura disgregazione dell'Europa unita.
Dopo il rifiuto del direttore dell'Unità di correggere la plateale gaffe su Virginia Raggi (che era stata erroneamente individuata in un video ad inneggiare a Berlusconi) credevamo che il giornalismo italiano avesse toccato il fondo.
Invece oggi il Corriere della Sera ci ha dimostrato che ci sono immense profondità, negli abissi del giornalismo nostrano, ancora tutte da esplorare. Il titolo è "Euro 2016, tre tifosi russi in carcere. Il capo degli hooligans vicino a Putin".
Lo scoop consiste nell'aver individuato una "vicinanza" fra Putin e il capo dei tifosi russi, Alexander Shprygin.
L'articolo recita: "Tra loro [gli arrestati di Marsiglia, ndr] c’è anche il capo degli hooligans che hanno portato avanti le violenze di Marsiglia. Si tratta di Alexander Shprygin, 38 anni, responsabile dell’Unione di tutti i tifosi russi e che è arrivato in Francia con la delegazione ufficiale inviata da Mosca. Shrpygin è sospettato di avere affiliazioni con l’estrema destra (nonostante abbia negato di essere stato fotografato mentre faceva il saluto nazista). Non solo. Sono spuntate anche alcune foto che lo ritraggono molto vicino al presidente Vladimir Putin: in un’immagine del 2010, il tifoso è accanto a Putin al Cimitero di Lublino in occasione di una cerimonia in memoria di Yegor Sviridov, un tifoso dello Spartak ucciso a Mosca."
Nei media ormai quasi universalmente ‘allineati e coperti’ passano raramente notizie autentiche, news in grado di dare un quadro reale di quanto accade nel mondo.
di Piero Cammerinesi
Ogni tanto, però, qualcosa trapela e, anche se minimizzato o tardivamente negato o ridicolizzato, può aiutare il lettore spregiudicato a cogliere degli elementi utili per formarsi un giudizio indipendente sui fatti.
Una di queste notizie si riferisce a un’ammissione del segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, il quale ha dichiarato ieri di aver rimosso – ad appena 72 ore dalla pubblicazione - la coalizione guidata dall’Arabia Saudita dalla lista nera dei Paesi assassini di bambini.
Perché è stata cancellata da questo vergognoso elenco l’Arabia Saudita che sta bombardando da mesi lo Yemen insieme a Bahrain, Kuwait, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Egitto, Giordania, Marocco e Sudan?
Provate ad immaginare se i tre più importanti quotidiani italiani - Corriere, Stampa e Repubblica -decidessero tutti insieme di scatenare una campagna mediatica di discredito contro un singolo personaggio politico: persino i morti si accorgerebbero che c'è qualcosa di poco "giornalistico" in un'operazione del genere.
Ebbene, è proprio quello che sta succedendo negli Stati Uniti in questi giorni: i tre più importanti quotidiani americani, e cioè il New York Times, il Washington Post e il Los Angeles Times, hanno deciso di sparare ad alzo zero contro Donald Trump.
Già da tempo il Los Angeles Times usciva con articoli apertamente denigratori contro il magnate americano, definendolo ripetutamente un ciarlatano, un buffone senza credibilità, oppure addirittura una star da soap-opera. Adesso si sono aggiunti il New York Times e il Washington Post, che in un'azione chiaramente concertata stanno cercando di distruggere la credibilità dell'uomo che nell'arco di pochi mesi ha completamente stravolto le regole delle elezioni presidenziali.
Il Washington post ha pubblicato un paginone nel quale raccoglie tutte le presunte bugie e false affermazioni pronunciate da Trump negli ultimi mesi. Naturalmente, pur di aumentare il volume delle presunte "bugie", il Washington Post non si fa scrupoli nell'elencare anche delle semplici opinioni di Donald Trump, che fa passare come "falsità" solo perché non sono supportate dai fatti ( "unsupported claim").
Fino all'altro ieri Donald Trump era considerato soltanto una macchietta, un personaggio colorito salito alla ribalta solo grazie al momentaneo vuoto che si è creato ai vertici della classe dirigente del partito repubblicano.
"Al massimo - si diceva - vincerà la nomination dei repubblicani, ma poi Hillary Clinton lo schiaccerà come una lucertola sull'asfalto". La convinzione più diffusa a livello mainstream infatti era che Trump, con le sue posizioni estremiste, xenofobe e razziste, non sarebbe comunque mai riuscito a conquistare quella famosa fetta intermedia di elettori americani - i cosiddetti "indecisi", collocati al centro dello schieramento elettorale - che di solito rappresentano l'ago della bilancia nelle elezioni presidenziali.
Ma da qualche giorno le cose sono radicalmente cambiate, perché Donald Trump ha finalmente fatto il suo primo discorso sulla politica estera, ed ha spiazzato tutti: invece del solito sproloquio vuoto e delirante, Trump ha messo insieme un discorso sensato, equilibrato e assolutamente ragionevole, che sembra aver fatto presa sul grande pubblico. In sintesi, ha detto Trump, gli Stati Uniti devono mettere fine alla loro politica interventista nel mondo, e ritrovare un equilibrio con le grandi potenze straniere, basato sul reciproco rispetto delle esigenze di ciascuno. (Grande festa ovviamente a Mosca, dove Donald Trump suscita decisamente maggiori simpatie della Clinton).
Talmente "pericoloso" si è rivelato questo discorso per la politica dei guerrafondai americani (di cui la Clinton si propone come leader indiscussa) ...
Quando ho aperto le news, questa mattina, mi è venuto da sorridere: Putin fra coloro che nascondono i propri soldi nei paradisi fiscali. E ti pareva - ho pensato - ora ci manca solo che scoprano che è un pedofilo, e il ritratto del grande babau sarà finalmente completato.
La notizia dei Panama Papers, infatti, non avrebbe nulla di sconvolgente, se non fosse per il risalto esagerato che si è voluto dare alla figura del leader russo all'interno di questo presunto nuovo scandalo. Ma quando vedi che tutte le testate occidentali - dal New York Times alla BBC, dall'Espresso alla Cnn, mettono tutti l'accento su Vladimir Putin, allora ti viene da sorridere: è chiaro che si tratta di una operazione di discredito progettata a tavolino.
La cosa divertente infatti è che tutte queste testate si danno un gran da fare per riempire la prima pagina con le foto dei vari personaggi coinvolti nello scandalo - da Cameron a Montezemolo, da Messi a Jackie Chan - ma il primo in alto a sinistra è quasi sempre lui: Vladimir Putin.
Un'altra cosa che salta all'occhio, in una rosa così forbita di grossi personaggi mondiali, è la totale assenza di un qualunque nome americano di rilievo.
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